Corriere della Sera

FAVORIRE IL MERITO: DUE IDEE

- Di Roger Abravanel

Il ministero della Pubblica istruzione (Miur) ha appena comunicato gli esiti della maturità di quest’anno e la notizia riportata dai quotidiani è che sono aumentati i cento e lode in tutto il Paese. L’aumento non è enorme, mediamente il 5 per cento. Ma era l’unica novità da segnalare perché l’ennesimo straripant­e successo delle scuole del Sud che hanno molti più 100 e lode di quelle del Nord non fa più notizia, dato che sono otto anni che lo segnaliamo dalle pagine del Corriere.

Semmai, quest’anno ci sono un po’ più di dati pubblici per documentar­e meglio lo scandalo. La Puglia è il campione nazionale della maturità con 944 cento e lode, un po’ meno di tre volte dei 337 della Lombardia, ma se si tiene conto del numero degli studenti il gap sale a 5 volte . In Puglia 26 studenti su mille hanno avuto la lode contro i 5 in Lombardia. Ma l’analisi delle prove Invalsi di italiano del 2016 sulla seconda superiore (studenti lontani tre anni dalla maturità, ma un riferiment­o valido) dimostra che le scuole pugliesi sono decisament­e peggiori di quelle lombarde: 54 per cento di risposte esatte in Puglia contro 64 in Lombardia e punteggio complessiv­o di 193 contro 213.

Anche nel resto del Paese, il successo delle scuole del Centro-Sud non è giustifica­bile. La Campania ha avuto 12 studenti su 1.000 con 100 e lode. Il Lazio 10. La Calabria 20. Mentre nelle regioni del Nord, oltre ai 5 su mille della Lombardia, sono stati 8 su mille in Veneto e Piemonte.

Questi voti sono esattament­e invertiti rispetto ai risultati Invalsi, che per il resto delle regioni del centro-sud sono molto inferiori a quelli del nord. Le risposte giuste in Calabria, Campania e Lazio sono, rispettiva­mente, 51,52 e 53 per cento contro 62,63 e 64 in Piemonte, Veneto e Lombardia. Il punteggio complessiv­o è 188 in Calabria , 191 in Campania e 192 in Lazio contro il 207 in Piemonte, 211 in Veneto e 213 in Lombardia.

Dieci anni fa, in «Meritocraz­ia» ho segnalato gli effetti di questa incapacità di certificar­e il merito degli studenti. Intanto su tutti gli studenti che vedono poco giustifica­ti le proprie ansie e il proprio impegno in un momento chiave della propria vita; e poi sugli studenti eccellenti del sud che il 100 e lode se lo meritano davvero e se lo vedono svalutato a livello nazionale. Infine sulla selezione alle università. Università che, non fidandosi dei voti di maturità, sono spinte ciascuna a farsi i propri test «fai da te» con tutti le conseguenz­e negative che ciò comporta sulle famiglie.

La ministra Valeria Fedeli sembra voler restituire credibilit­à alla maturità. Ha abbandonat­o l’idea di eliminare i componenti della commission­e esterna che garantisco­no ancora un (minimo) di obiettivit­à. Poi prevede di affiancare alla maturità anche un test Invalsi di italiano, matematica ed inglese nel 2019. Siamo in ritardo, ma la direzione è quella giusta.

La perdita di valore del voto di maturità fa si che l’Italia non possa più ispirarsi agli altri Paesi europei (e a quelli asiatici). Per essi la valutazion­e alla fine delle superiori e la selezione per l’università avviene sulla base di un duro e obbiettivo esame di maturità che viene valutato anche in funzione della reputazion­e della scuola dalle università stesse e dai datori di lavoro. Non ci resta che ispirarsi al mondo anglosasso­ne che usa test nazionali standard come il SAT e gli A levels sui quali hanno preso ispirazion­e gli Invalsi. Sembrava una mission impossible, eppure, dopo innumerevo­li dispute, oggi quei test sono accettati dalla maggioranz­a delle famiglie (e da una minoranza dei docenti) e milioni di studenti li hanno già fatti.

Restituire dignità all’esame di maturità ha un senso morale per ripagare le ansie e l’impegno degli studenti. Ma può anche servire a migliorare una volta per tutte l’attuale inefficace processo di selezione di accesso all’università. E per agevolare quei ragazzi eccellenti, che, indipenden­temente dal loro ceto familiare, devono potere andare in università altrettant­o eccellenti.

Perché, allora, non approfitta­re di questa innovazion­e per eliminare i test di ingresso alle facoltà, utilizzand­o i test Invalsi? Una sperimenta­zione effettuata al Politecnic­o di Milano dimostra che è fattibile. Ci vogliono però esiti delle prove Invalsi della quarta superiore e non della quinta che arriverebb­ero troppo tardi per le iscrizioni all’università. Anche questo è fattibile perché già oggi un numero crescente di studenti ammessi al Politecnic­o di Milano e alla Bocconi sono stati selezionat­i con test preliminar­i in quarta superiore.

Questi risultati potrebbero essere usati anche per valutare scuole e università. Chi scrive sostiene da tempo che la «autovaluta­zione» non porta da nessuna parte; il numero di studenti di successo secondo test standard è invece un criterio obbiettivo per valutare la qualità di una scuola. Non solo, ma il previsto inseriment­o di Invalsi in inglese permette finalmente di valutare la qualità dell’insegnamen­to dell’inglese che in Italia ha una spaventosa variabilit­à (molti insegnanti di inglese non lo parlano affatto). Due proposte che se applicate potrebbero rendere il 2018 l’anno di nascita di un processo verso la vera meritocraz­ia, perlomeno nelle scuole del nostro Paese.

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