Il vice di Sarraj contro la missione italiana Ma la Farnesina: l’intervento continuerà
Majburi: violata la sovranità della Libia. E Roma: parole che non minano la cooperazione
Se mai fosse possibile, si fa ancora più fragile la posizione di Fayez Sarraj, adesso sotto accusa anche nel suo campo per aver permesso alle navi militari italiane di operare nelle acque territoriali libiche. Il premier del governo di unità nazionale con sede a Tripoli si era già ulteriormente indebolito di recente a causa delle dure critiche delle milizie di Misurata e dei gruppi legati al fronte islamico contro il suo incontro del 25 luglio a Parigi con l’uomo forte della Cirenaica, generale Khalifa Haftar, che persino minaccia di bombardare le navi italiane.
Ma adesso è una vera levata di scudi dai toni populisti e demagogici, che sollecita i nervi scoperti delle piazze libiche, quella che si sta sollevando contro di lui tra i corridoi della politica locale e soprattutto sui social media. La voce più autorevole è quella di Fathi Majburi, membro del Consiglio Presidenziale e uno dei quattro vicepresidenti originari dell’Est del Paese, il quale prende nettamente le distanze. In un comunicato specifica che la scelta di concedere la luce verde ai navigli italiani «non esprime la volontà del Consiglio Presidenziale e neppure del suo governo». Quindi imputa a Sarraj la responsabilità diretta di aver violato la «sovranità della Libia», con tanto di appello all’Onu affinché esamini la questione, oltreché a Lega Araba e Unione Africana perché pongano un argine al «nuovo tentativo di occupazione» italiano del suolo libico. I riferimenti al periodo coloniale fascista abbondano in Rete. Qui torna in auge la mai sopita memoria della resistenza di Omar al Mukhtar e la sua sfida militare contro il generale Graziani. Sui blog locali è rilanciata la nota scena del «Leone del Deserto», il film del 1981 assurto tra le icone del nazionalismo anti coloniale arabo, con Anthony Quinn nelle vesti dell’eroe indomito che non si piega alle offerte di denaro che arrivano da Mussolini. La morale che impera sui commenti «cliccati» a migliaia tra Tripoli e Tobruk è scontata: Omar al Mukhtar si fece impiccare per non cedere agli italiani, Sarraj invece dà la luce verde alle loro navi. Nonostante tanto livore, va però osservato che quasi nessuno ha partecipato alle manifestazioni di piazza annunciate a Tripoli contro le navi italiane. Il centro e la zona del porto sono rimasti tranquilli.
Roma vede tutto questo come parte del legittimo dibattito politico libico, che peraltro l’Italia rispetta pienamente. Il punto centrale resta che il rapporto di cooperazione tra i due Paesi, per nulla inficiato dagli ultimi sviluppi, mira a potenziare la lotta contro i trafficanti di esseri umani, considerata uno dei requisiti fondamentali per rafforzare la sovranità nazionale libica. La Farnesina ribadisce che la missione di ricognizione della nave italiana Comandante Borsini procede «regolarmente» e che le attività italiane saranno effettuate solo su specifica richiesta della Guardia costiera e del governo libici. E per calmare le acque si aggiunge che s’intende collaborare in tutti i modi anche con Haftar, evitando ogni possibile scontro bellico. Da tempo i massimi esponenti dei servizi segreti italiani hanno incontri periodici con Haftar. I dirigenti italiani sono consapevoli delle difficoltà interne di Sarraj. La sua luce verde alle navi italiane rappresenta infatti un salto di qualità importante nei rapporti tra i due Paesi e va a toccare delicate questioni di principio. Da Gheddafi in poi i capi libici si sono sempre rifiutati di considerare il tema migranti come un problema nazionale. «Noi siamo solo un Paese di transito. Non ci sono libici sui barconi», sottolineano sempre a Tripoli. Accettare di cooperare dunque con l’Italia per controllare i flussi scatena un acceso e lacerante dibattito interno destinato a durare nel tempo.