Corriere della Sera

La nuova frattura sulle tasse Renzi-Padoan, duello infinito

Frecciate e battute a distanza, i due oggi quasi non si parlano

- (Italy Photo Press)

Una cartolina del passato, dove tutti sorridono. Conferenza stampa per la presentazi­one del Def, primo vero atto del nuovo governo Renzi. È l’8 aprile del 2014. Il presidente del Consiglio si aggiusta il nodo della cravatta viola: «Il ministro Padoan oggi si è trovato in grandissim­a difficoltà. Non per le tensioni sul Def ma per la prova tv su Destro, visto che è un noto tifoso laziale». Risate. Prende la parola Pier Carlo Padoan, cuore gialloross­o, un po’ imbarazzat­o ma anche divertito: «Ho qui in tasca la mia lettera di dimissioni», pausa drammatica. «Se continua a provocarmi sulla mia fede calcistica...». Altre risate, atmosfera da pacche sulle spalle.

Sembra un ricordo in bianco e nero. In fondo lo è. Destro era il centravant­i della Roma e della Nazionale, adesso gioca nel Bologna. Renzi e Padoan si stavano ancora studiando. Ma costruivan­o il loro rapporto su un terreno laterale, il calcio come spesso fanno gli uomini. Il premier in piena trance agonistica da rottamazio­ne, un mese dopo avrebbe incassato il 41% delle Europee. Il ministro appena catapultat­o nella politica romana, dopo aver lasciato Parigi e il suo ruolo di vice segretario dell’Ocse. Due mondi lontani che nel tempo si sono avvicinati. Scegliendo, sulla scivolosa materia dei conti pubblici, anche il gioco delle parti: Renzi poliziotto buono, Padoan poliziotto cattivo. Forse non si sono mai amati, troppo diversi. Ma adesso quasi non si parlano proprio più. L’ultimo segnale è arrivato proprio ieri. «Soldi per tagliare l’Irpef non ci sono? È così» dice Renzi ospite di Radio Anch’io, riprendend­o quello che aveva detto il ministro il giorno prima. «Padoan fa la sua parte. Ora mancano cinque mesi alla fine della legislatur­a, non può andare in Europa a trattare per i prossimi cinque anni».

Non è solo una questione personale. Non è solo la freddezza che si respira quando Padoan definisce Renzi «il mio giovane ex capo». È una frattura politica. Un’ipoteca che il segretario Pd mette sulla prossima legge di Bilancio che Padoan dovrà condurre in porto dopo l’estate. E che Renzi A Cervia Il segretario del Pd Matteo Renzi saluta l’ex ct della Nazionale Arrigo Sacchi, giovedì prima di presentare il suo libro 5 Stelle Chiara Appendino, 33 anni, sindaca di Torino considera solo «di passaggio», in attesa di quella vera che, nei suoi progetti, farà di nuovo lui una volta tornato a Palazzo Chigi. Con il taglio dell’Irpef, ovvio.

Gli attriti fra i due sono sempre stati smentiti. Ma quello di ieri è solo l’ultimo capitolo di un libro che leggeremo più avanti. A inizio giugno, dopo che la commission­e europea ci aveva concesso uno sconto sulla riduzione del deficit, Padoan aveva detto: «Sbattere i pugni sul tavolo non fa parte del mio carattere. Se si ottiene qualcosa è perché l’Italia dimostra di rispettare le regole». Renzi non l’aveva nominato, ma non c’era nemmeno bisogno. Per Padoan quello era ed è il massimo risultato raggiungib­ile nell’eterna trattativa con Bruxelles. Proprio in quei giorni, invece, Renzi stava limando il capitolo del suo libro in cui propone di spingere il deficit al limite del 2,9% per cinque anni, sfidando Bruxelles. I due mondi si sono allontanat­i. «Santa Madonna», sbotta Padoan davanti ai microfoni quando gli chiedono per l’ennesima volta un commento sulla proposta del «giovane ex capo», che lui aveva già definito «esterna al governo». Diversità di vedute c’erano già state, come sul bonus da 80 euro. Ma lo sconto vero è arrivato sull’Iva.

Padoan si era spinto a dire che, anche se la decisione deve essere politica, far aumentare la tassa sui consumi per tagliare la tasse sul lavoro era una «opzione sostenuta da buone ragioni». Un suicidio alla vigilia delle prossime elezioni, secondo Renzi. Ecco, il rapporto si è chiuso in quel momento. In quei giorni Renzi ha ritirato anche il sostegno a Padoan, in un eventuale corsa alla poltrona di Governator­e della Banca d’Italia. Le parole di ieri sono solo la presa d’atto di una storia finita. Di calcio, adesso, Renzi preferisce parlare con Arrigo Sacchi.

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