Özcan Mutlu, l’uomo tranquillo che fa paura al sultano Erdogan
Il Sultano gli ha giurato vendetta. Özcan Mutlu, parlamentare tedesco dei Verdi, nato nell’Anatolia settentrionale, ha firmato l’anno scorso la tanto attesa risoluzione di condanna del genocidio armeno: le vittime della campagna di pulizia etnica scatenata nel 1915 nell’impero ottomano furono oltre un milione e mezzo, ma la Turchia pretende da sempre che la memoria sia cancellata. A Berlino riceve continue minacce. «Trovo assurdo — ha detto a Deutsche Welle — che mi sia stato consigliato di perdonare».
Con la scelta compiuta al Bundestag, Mutlu è entrato nella lista nera di Recep Tayyip Erdogan, che lo ha accusato di avere «sangue infetto». Ora gli è naturalmente impossibile visitare il Paese che ha lasciato da bambino, trasformato in una quasi-dittatura da un leader dispotico troppo a lungo blandito dalla comunità internazionale. Nel frattempo, i rapporti con la Germania hanno toccato il punto più basso. Il corrispondente di Die Welt, Deniz Yücel, e il militante di Amnesty International Peter Steudtner, entrambi cittadini tedeschi, attendono in carcere di essere processati per aver «aiutato i terroristi». «Dobbiamo riorientare la nostra politica», ha promesso il ministro degli Esteri del governo Merkel, il socialdemocratico Sigmar Gabriel. Vedremo.
Ingegnere elettronico, quarantanove anni, il deputato dei Verdi è arrivato da un luogo lontano, come quel villaggio che abbandona in una notte di tempesta Mevlut, il venditore di boza (una bevanda fermentata, leggermente alcolica), protagonista di La stranezza che ho nella testa, uno dei più bei romanzi del premio Nobel Orhan Pamuk, altro avversario di Erdogan. I destini possono essere diversi, il senso di nostalgia probabilmente comune. E il viaggio di Mutlu per Kreuzberg, quasi sessanta anni dopo, è stato sicuramente meno drammatico di quello compiuto da un armeno che cercava scampo dalla ferocia dei turchi, il pittore Arshile Gorky (diventato successivamente uno dei grandi nomi del Novecento), fuggito ad Erevan con le tre sorelle e la madre, morta poi di inedia nella città in cui si vede