L’amore al buio di Valeria
Golino osteopata non vedente nel nuovo film di Soldini «Racconto la vita di chi vive l’handicap con coraggio»
Lui, Teo, è uno specialista in fughe. Dal suo passato, da un futuro che possa renderlo responsabile di qualcosa, dalle donne, soprattutto da quelle convinte di poterlo cambiare. Lei, Emma, ha smesso di vedere a 16 anni ma, anziché fermarsi, è andata sempre avanti. Caparbia, risolta, indipendente, serenamente separata dal marito, un lavoro da osteopata perseguito con passione. Sono loro, Adriano Giannini e Valeria Golino, i protagonisti dell’ultimo film di Silvio Soldini, Il colore nascosto delle cose, prodotto da Lumière con Raicinema, fuori concorso a Venezia 74 e nelle sale l’8 settembre con Videa. Un incontro casuale tra due mondi agli antipodi. «L’idea è nata dopo il mio documentario Per altri occhi — racconta il regista —. Ho fatto tesoro di racconti che mi erano stati fatti da persone amiche non vedenti».
Ancora una volta sceglie di mette al centro un uomo e una donna. E tra i due, lei sembra la più solida.
«È vero. Ho preferito partire dall’idea di coppia con la donna non vedente, ci sembrava più interessante e meno prevedibile. Nella mia esperienza diretta, le persone non vedenti non superano l’handicap ma, piuttosto, ci convivono: non è qualcosa che portano come peso ma la condizione in cui vivono pienamente la vita. Con coraggio e leggerezza».
Parla di esperienza diretta: quale?
«Ho un amico fisioterapista non vedente, mi ha colpito la sua energia, come parla della sua vita, la quotidianità, i film che ha amato. Mi pareva una materia di racconto inedita. Che il cinema ha trattato poco e, quasi sempre, con personaggi ai limiti. Arrabbiati con il mondo, oppure, avendo sviluppati altri sensi, dotati di superpoteri come nei thriller. Perché, invece, mi sono chiesto, non raccontare la vita?».
Il mondo di Teo sembra, a dispetto delle apparenze, più ristretto di quello di Emma.
«Fa il creativo in un’agenzia di pubblicità. Il suo è un mondo veloce, lo smartphone sempre in mano, usa le immagini per comunicare. Si nasconde dietro un modo di fare brillante. Ha una storia con Greta, Anna Ferzetti. Lei vorrebbe una vera convivenza, lui la mattina scappa a casa sua. Quando incontra una persona che viene da un altro mondo, con altri codici di comunicazione è costretto a rallentare. E andare senza rete».
Le parole per dirlo: non c’è dell’ipocrisia nella correttezza verbale del termine non vedente?
«Il pudore delle parole a volte nasconde il desiderio di rimanere a distanza, è il riflesso dell’abitudine di pensare alla disabilità attraverso stereotipi. Standoci in mezzo scopri persone piene di ironia e autoironia che gli stereotipi li smontano dall’interno. Loro mi dicono “sono cieco”. Io uso entrambi i termini».
Come si è preparata Golino per interpretare Emma?
«Indossando lenti a contatto opache e seguendo un corso di orientamento e mobilità per imparare a usare il bastone bianco, per destreggiarsi nello spazio, in casa e fuori».
Il suo film è Fuori concorso a Venezia...
«Non ci tenevo così tanto a essere in competizione, ho sempre ammirato Woody Allen, che non è mai andato mai in gara ai festival. Nella sezione Fuori concorso sono in ottima compagnia, basta citare
L’incontro Giannini è un brillante pubblicitario che resta affascinato da uno stile di vita opposto al suo
Stephen Frears».
I titoli dei suoi lavori sono sempre evocativi. Cosa suggerisce «Il colore nascosto delle cose»?
«Si riferisce a un dialogo. Emma spiega a Teo che per lei è molto importante il colore delle cose. Lui non capisce: ma se non vede, cosa le interessa di che colore sia. E lei gli spiega quanto, invece, a volte sia importante inventarselo».
Sogna ancora di girare un musical?
«Qualcuno mi disse che Pane e tulipani aveva la struttura da musical, ma adesso sogno un thriller psicologico. Che dia peso alle relazioni tra le persone. Protagonista, Viggo Mortensen».