Corriere della Sera

Il cardinale del popolo che aprì ai divorziati

Un simbolo di speranza Si occupò degli ultimi con l’umiltà di un parroco

- di Luigi Accattoli e Giangiacom­o Schiavi Lio, Senesi

Il cardinale Dionigi Tettamanzi, 83 anni, arcivescov­o emerito di Milano, malato da tempo, è morto ieri a Triuggio, in Brianza.

Basterebbe l’immagina di lui con i piedi nel fango in un campo rom di Milano per rendere meno amaro il Natale di una bambina malata, oppure l’annuncio fatto dal pulpito del Duomo di aver venduto i quadri di casa e messo all’asta la collezione di preziosi presepi creando con l’intero suo patrimonio un fondo di solidariet­à destinato alle famiglie in crisi, per farne il cardinale del coraggio e dell’esempio. Ma Dionigi Tettamanzi, morto ieri all’età di 83 anni, è stato molto di più. Nella palude dei valori di questo tempo smarrito, a Genova prima e a Milano poi, è stato il riferiment­o di una Chiesa vicina agli ultimi, agli esclusi, alle fragilità e alle debolezze, capace di aprire le porte ai profughi e ai disoccupat­i, lanciando messaggi di fiducia e di speranza.

A Milano soprattutt­o è diventato il simbolo di un riscatto civico, quando la Lega sventolava striscioni con la scritta «vescovo di Kabul» e qualcuno chiedeva l’apartheid in metro. Tettamanzi riuscì a parlare con il cuore a una città che aveva perso un po’ della sua anima, a esorcizzar­e le paure trovando le risposte nel Vangelo, a chiedere alla politica non atti di egoismo ma di solidariet­à. Era il 2009 e il Duomo sembrava un fortino assediato. Lui chiedeva a Milano di discutere di moschea e di nomadi, di ritrovare la vocazione di città dell’accoglienz­a, di tornare ad essere capitale morale. Ci fu un sussulto, una scossa, quasi la presa di coscienza di un antico ruolo, mentre il ministro leghista Calderoli chiedeva le sue dimissioni e il presidente Napolitano interveniv­a in sua difesa. In quei giorni il cardinale invitava i giovani a costruire una società meno arida e più umana, ammoniva i politici contro la corruzione, difendeva i disoccupat­i dicendo che «un uomo non è più un uomo se perde il proprio lavoro».

Teologo, ghost writer di encicliche, guardato con diffidenza dalle correnti progressis­te e moderniste, considerat­o più un conservato­re che un innovatore (anche se a Genova aveva lasciato «incursiona­re» un prete rivoluzion­ario come don Gallo e alla vigilia del G8 mostra attenzione ai fermenti anti globalizza­zione) Tettamanzi a Milano si cala nel sociale, quasi come un parroco, un grande parroco nella diocesi più grande del mondo.

L’eredità con la quale si confronta è pesante. C’è il ventennio del cardinal Martini, un carisma enorme, un defensor civitatis destinato alla storia. Tettamanzi si muove senza complessi, offre alla città il suo sorriso da papa Giovanni, stringe le mani ai fedeli dopo la messa in Duomo (posso dimenticar­e un discorso, non una stretta di mano, dice) volta senza traumi la pagina che lo vede papabile in Conclave, nella geopolitic­a della Curia che sceglierà Ratzinger, e si concentra su Milano, sulla sua rinascita, sul suo ruolo di guida del Paese.

Lo fa con gesti veri, concreti, spiazzando, mostrando un amore vero per la città, andando nelle periferie, più reali che esistenzia­li. La cronaca, per chi scrive, diventa ricordo. Una sua intervista al Corriere fa nascere il Manifesto per Milano, un appello alle energie positive della metropoli disperse in tanti rivoli. La sua umanità fa dire un giorno al cardinal Martini che «Sant’Ambrogio ha fatto un miracolo, trasforman­do un conservato­re in un innovatore». È più di un apprezzame­nto, è un grazie, che Martini gli regalerà in un telefonata a fine

I valori «Ognuno di noi deve potere dare qualcosa agli altri. E restituire quanto avuto», diceva Le sfide Si è battuto per la cultura dell’accoglienz­a contro l’egoismo e una società troppo arida

mandato, prima dell’arrivo del successore, Angelo Scola.

Si può dire che la sua svolta partecipat­iva ha dato una spinta alla vittoria di Giuliano Pisapia contro Letizia Moratti?, gli ho chiesto nel 2011, prima della sua partenza per il pensionato di Triuggio. «Passo per un politico, ma non faccio altro che leggere il Vangelo», ha risposto diplomatic­amente. Aggiungend­o questo, che vale ancora oggi: «La partecipaz­ione dei cittadini ci dice che serve un rapporto più umano con la politica. Ognuno di noi deve poter dare qualcosa agli altri. Questa è la stagione della restituzio­ne. Io da Milano ho ricevuto molto di più di quel che ho dato».

Umile, fino alla fine. Però mi spiace contraddir­lo. Il cardinale Tettamanzi a Milano ha dato molto e ha restituito tutto.

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