Corriere della Sera

100 metri

L’addio triste di Usain Bolt Soltanto terzo

- Di Gaia Piccardi alle pagine

Dovevano essere gli ultimi cento metri di paradiso. Invece dietro l’angolo Usain Bolt trova il diavolo. Il campione del mondo dello sprint al Mondiale di Londra è Justin Gatlin (9’’92), 35 anni, reduce da una squalifica di quattro anni per doping, sommerso dai fischi. Argento è il ragazzino americano del Tennessee uscito di corsa dal college, Christian Coleman (9’’94), 21 anni. Bolt, l’immenso Bolt degli otto ori olimpici e undici iridati, è solo terzo (9’’95, eguagliand­o il suo miglior crono stagionale). Bronzo nella sua notte. Battuto.

Gli Stati Uniti, che inseguono la Giamaica da otto anni, si riprendono lo sprint a calci e morsi, ma mai si era visto un oro mondiale, Gatlin, seppellito dai buuu al traguardo («Ero venuto qui per vincere e ce l’ho fatta: missione compiuta») e uno sconfitto, Bolt, adorato come un idolo pagano mai caduto, costretto dall’isteria collettiva al giro di pista come se avesse trionfato, sportivo nel ringraziar­e tutti, uno per uno, i sessantami­la dello stadio, regalandos­i sui titoli di coda un’ultima bugia: «È bellissimo anche così. Tifo fantastico. Vi porto tutti nel cuore».

La semifinale, nella stessa batteria di Coleman, era stata una prova generale. Con il colpo di scena del tabellone che in un primo momento non aveva incluso Bolt nei risultati, come se non avesse mai corso. Poi, dopo qualche istante di apnea, eccolo lì: 9’’98, un centesimo più lento dell’americano serioso e tre di se stesso in Diamond League a Montecarlo. A sedici giorni dal 31° compleanno, non è il più anziano in finale: c’è Justin Gatlin a rappresent­are la vecchia generazion­e di sprinter con i suoi sette lustri farciti di peccati. Due alfieri dell’Europa, che si rivelerann­o comparse: il francese Vicaut, cui l’atmosfera elettrica regala il solito timor panico, e l’inglese Prescod. C’è il cinese Su e poi il mondo dello sprint che conta: Giamaica contro Stati Uniti, il filo conduttore da quando a Pechino 2008 l’uomo venuto dall’isola della velocità e del caffè fece la rivoluzion­e con una scarpa slacciata. Ma il futuro della specialità è anche nei 23 anni di Akani Simbine, quinto, dal Sudafri-

ca con furore, freccia di una squadra giovanissi­ma che ha in Wayne Van Niekerk il capitano e in Luvo Manyonga il nuovo campione iridato del lungo.

A meno cento metri dal traguardo della carriera, pareva il solito Bolt. Accarezza le scarpe spaiate (una dorata e l’altra viola), prodotte in edizione speciale dallo sponsor. Ha sorriso a Coleman sul traguardo della semifinale, proprio come un anno fa a Rio fece con De Grasse, assente per infortunio. È in quarta corsia, alla sua destra l’americanin­o serioso. Gatlin in ottava sembra lontanissi­mo dai giochi. Bolt ha sistemato gli odiati blocchi che quasi lo fecero inciampare in batteria, come piace a lui. È partito male, come da tradizione. E quella fase lanciata che ha sempre rappresent­ato il suo punto di forza non gli è bastata per colmare il gap con Coleman, lestissimo a uscire dai blocchi (0.123, miglior tempo di reazione), basso e compatto nella sua corsa esplosiva senza fuochi d’artificio. Non l’ha mai agganciato, il Lampo spuntato, mentre da dietro, con una rimonta alla Bolt, Gatlin s’inventava i cento della vita, quelli che rimarranno scolpiti nell’atletica come l’ultimo sprint del più grande, che per una sera non lo è stato più.

Tre medaglie in tre centesimi ci raccontano che non è stata una corsa, è stata una guerra. E l’oro di Gatlin non rovina la strepitosa carriera del più grande sprinter della storia, che mentre l’americano è già sotto la doccia ancora si bea dell’affetto dei tifosi, un balsamo per l’anima nella notte delle streghe.

Cento metri fa sembrava una favola dolce, morbida, perfetta. Ma la vita, spesso, se ne frega del lieto fine.

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(Ap) Spodestato Gatlin vince i 100 metri e s’inginocchi­a davanti a Bolt
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(Afp) Saluto Usain Bolt il più festeggiat­o anche da sconfitto
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