Nencini: serve una normativa sui gruppi di pressione
«Il vero problema è che la mazzetta è diventata democratica». Democratica? In che senso? «Fino agli anni 90 c’era una corruzione di tipo strettamente politico. Oggi mi pare prevalente quella che punta ai piccoli e grandi burocrati. Prima di arrivare all’assessore o al deputato trovi il responsabile di un ufficio tecnico o di una Asl. E loro, a differenza del politico, restano sempre nello stesso posto». Riccardo Nencini è viceministro alle Infrastrutture, incarico ricoperto anche nel governo Renzi. Ha contribuito alla stesura di quel nuovo codice degli appalti che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe ridurre il terreno per i comportamenti opachi. Non tutto è filato liscio. Ma Nencini è convinto che i risultati ci siano stati: «Quella riforma aveva l’obiettivo di rendere più veloce la macchina pubblica e più
trasparenti tutte le procedure. È proprio quello che sta avvenendo. Anche grazie all’Anac, l’autorità Anticorruzione di Raffaele Cantone, che non si limita a controllare le procedure in corso ma anche le vecchie gare d’appalto».
La corruzione non molla, però, servono altre riforme? «Dal punto di vista della repressione credo di no. Quello che ci manca è la prevenzione, a cominciare da una vera legge in grado di mettere in trasparenza l’attività dei gruppi di pressione e anche il finanziamento della politica». Nencini racconta quando, nel 2013, partecipò alle celebrazioni per i 150 anni della Spd, il partito socialdemocratico tedesco. «Nel palazzetto dello sport di Lipsia
c’erano i rappresentanti di tante aziende private, ricordo la Mercedes, ad esempio. E questo perché finanziavano il partito, in piena trasparenza e senza sotterfugi o scorciatoie. E poi c’era anche la Merkel, capo del governo certo, ma anche leader di un altro partito». E cosa c’entra? «C’entra eccome. È il segnale di un senso di appartenenza allo Stato che va al di là degli schieramenti e che noi abbiamo perso. Negli anni 90, quando si afferma la guerra contro Tangentopoli, si crea la grande speranza di un’Italia diversa, poi tradita. Oggi non c’è speranza ma rancore. E nella società del rancore si allentano le relazioni tra corpi intermedi, viene meno quel senso dello Stato che resta l’antidoto migliore contro la corruzione. Molto più potente di qualsiasi legge».