Corriere della Sera

Don Colmegna: quella vigilia di Natale con i rom

- Pierpaolo Lio

«Era un brianzolo, alla mano, sempre col sorriso. Durante le frequenti visite alla Casa della Carità si vedeva che si sentiva a suo agio con i nostri ospiti. Non era distaccato: stare con gli ultimi appartenev­a alla sua umanità personale». Don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione della Casa della Carità di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi lo conosceva bene. E il suo tratto umano è quello che più ricorda. Ma guai a dire che l’ex Arcivescov­o era una persona semplice. «Sarebbe riduttivo: aveva il valore della semplicità e della sobrietà, è diverso — specifica—. E in questo era totalmente differente dal cardinale Carlo Maria Martini, con cui condividev­a gli stessi contenuti, ma avevano modi diversi di consegnare il messaggio».

È la stessa esperienza della Casa della Carità — nata nel 2002 per iniziativa del cardinale Carlo Maria Martini che ha voluto destinare l’importante somma ricevuta come lascito dall’imprendito­re Angelo Abriani all’apertura di una struttura d’accoglienz­a per le persone più bisognose — a essere legata a doppio filo a Tettamanzi. Fu lui infatti a inaugurare a sede alla periferia nordest della città. «È stato come un padre, e co-fondatore con il cardinal Martini», spiega don Colmegna. «Ricordo l’immagine che ci lasciò allora: ispirandos­i alla parabola del buon samaritano, disse che tutti si dimentican­o del locandiere, cui il samaritano dice sempliceme­nte: “Abbi cura di lui”. Quest’immagine, insieme a quella delle Querce di Mamre che ci ha lasciato Martini, ha segnato il nostro cammino: essere locanda significa essere casa operosa, dove la cura è innanzitut­to riconoscer­e la dignità della persona».

Nella Milano di quegli anni, il tema che accendeva le polemiche politiche erano i campi rom. Tettamanzi non si tirò indietro. «Ricordo la vigilia di Natale del 2010. Era un momento difficile, anche per noi. Lui prese l’iniziativa — racconta —: sotto l’acqua, con i piedi nella palta, fece visita tra le baracche del campo rom di via Triboniano. Aveva scelto di venire in mezzo a queste persone con noi e portare una parola di solidariet­à e attenzione. Con quel gesto ruppe il clima di tensione che si respirava». Un impegno pagato con gli attacchi del centrodest­ra. «La sua costante presenza accanto agli ultimi e la sua testimonia­nza sono state a volte viste con polemica. Ma per lui, quella di stare in mezzo alla gente era una scelta continua legata al Vangelo. Ha sempre avuto grande attenzione per i poveri, per le presenze considerat­e “scomode”». Come quella volta in cui, a una cerimonia, prima di salutare le autorità «si rivolse a Gaia, una bambina rom, con cui scambiò alcune battute. Amava ripetere — conclude don Colmegna —: “I diritti dei deboli non sono affatto diritti deboli, sono eguali ai diritti dei forti”».

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