Corriere della Sera

MIO PADRE MI VOLEVA FLORICOLTO­RE

- di Roberta Scorranese rscorranes­e@rcs.it

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Sono le tre del pomeriggio quando suono il campanello di un palazzo nella zona di Brera, cuore di Milano. Il portone si apre. Attraverso un cortile, arrivo all’ultimo piano e trovo la porta aperta. Mi inoltro in un ampio soggiorno pieno di libri e, dalla zona superiore, arriva una voce: «Sistemi le sue cose e salga». Deposito la borsa, tengo solo il registrato­re e il taccuino e percorro la scala a chiocciola che mi conduce in un’elegante mansarda, dove Massimo Recalcati mi aspetta seduto davanti all’inconfondi­bile lettino dello psicanalis­ta. «Si accomodi», dice sorridendo.

È stato così che, in un caldo pomeriggio d’estate, mi sono ritrovata seduta sul lettino dell’analista più famoso d’Italia. Seduta, naturalmen­te, non distesa. E però la posizione comoda, con i cuscini (messi lì forse per attutire i vortici di vita vissuta che irrompono durante la terapia), disinnesca le domande aggressive. Con la complicità di un look (il suo) sfatto ad arte: in maniche di camicia, calzini assenti nelle Tod’s e la barba di tre giorni che per i detrattori (tanti) è segno di sbraco hipster, mentre per i sostenitor­i (tanti) è indice di limpidezza anticonfor­mista.

Professore, lei ha scritto diversi libri sulla figura del padre. Com’è il suo?

«Vengo da una famiglia molto umile, dove si parla milanese. L’italiano è stato una seconda lingua. Mio padre è floricolto­re, ha coltivato fiori per una vita e voleva che io seguissi la sua strada. E infatti ho conseguito prima il biennio profession­ale in floricoltu­ra, poi mi sono diplomato in un istituto agrotecnic­o di Quarto Oggiaro. Anche se io volevo fare altro».

Lo psicanalis­ta, supponiamo.

«No. Il maestro».

Riesce difficile, oggi, immaginarl­a in una scuola di periferia.

«Era una scuola dove si ritrovaron­o molti ragazzi con problemi. E in quel senso io ero uno scarto. Venivo da esperienze scolastich­e difficili e di certo la posizione geografica dell’istituto non aiutava. Partivo da Cernusco e arrivavo lì in bici o con i mezzi pubblici. Poi eravamo tutti maschi, sai che allegria. Ma è stato lì, a Quarto Oggiaro, che ho incontrato il mio primo padre».

E chi era?

«Una donna. Giulia Terzaghi, bellissima professore­ssa di lettere. Grazie a lei mi sono avvicinato a Pasolini, che poi in seguito incontrerò, in uno dei momenti più importanti della mia vita. Questo per dire che oggi la figura del padre non ha genere né limiti oggettivi: può essere una donna, un docente, un libro».

Però poi ha studiato psicologia, si è specializz­ato in disturbi alimentari, ha fatto sua la lezione di Lacan e oggi fa ricerca clinica all’università.

«In parte è un’eredità paterna: lui curava le piante — me lo ricordo chino sui bancali dove giacevano schiere di fiori malati — e io oggi curo le persone. Mia madre, però, è il mio fiore più bello. L’ho amata molto. Sono l’unico in famiglia che comprende la sua lingua, il dialetto friulano. E ancora oggi, al telefono, mi esprimo in quell’idioma per entrare nel suo intimo».

Perché poi si è messo a studiare la figura paterna e ha scritto libri come l’ultimo, «Il segreto del figlio»?

«Ero fidanzato con quella che oggi è mia moglie, e cercavamo di avere un figlio. Ma non ci riuscivamo e i medici ci avevano dato poche speranze. Così un giorno decisi di non rivolgermi più a nessun luminare e entrai nella basilica di Sant’Ambrogio, a Milano. Mi persi in quel posto bellissimo, poi tornai a casa e chiesi a Valentina di sposarmi. Andammo in viaggio di nozze in Alaska e dopo un mese dal nostro ritorno lei rimase incinta. Ma non solo: poco tempo dopo Tommaso, nato nel 2004, arrivò anche Camilla! Da allora mi sono messo a studiare il ruolo e la simbologia del padre. E ancora oggi, mi chiedo: come spiegare questo episodio?»

Non parlerà mica di miracoli.

«Ovviamente no. Io sono non credente. Sono cresciuto con Marx e Pasolini, ho frequentat­o l’area di Lotta Continua e del Movimento 77, oggi pratico la psicoanali­si, una fede laica. Però sono convinto che ci sia qualcosa che va oltre la materia, una forza maggiore. Per me è la forza generatric­e del desiderio, che dilata gli orizzonti. Ciascuno di noi si porta dentro una vocazione, siamo fatti per quella strada: quando perdiamo di vista questa linea, allora interviene la psicanalis­i. O la religione»

Chi sono i suoi amici?

«Per esempio Roberto Benigni, con il quale mi è capitato un altro episodio curioso. Nel mio libro Il mistero delle cose c’è un capitolo su Jannis Kounellis. Roberto voleva farmelo incontrare, ma purtroppo l’artista morì prima. Andai lo stesso a Roma, presi un taxi per andare da Benigni ma diedi al tassista l’indirizzo di Kounellis, che avevo chissà come».

Se però lei avesse dato l’indirizzo di Palazzo Chigi, a lungo «casa» di Renzi, sarebbe stato preoccupan­te.

«Ma guardi che io sono più critico di quanto sembri nei confronti dell’ex premier. Per esempio, al Lingotto ho criticato apertament­e la sua riforma della scuola, secondo me fatta senza coinvolger­e tutte le parti e con un linguaggio inadeguato».

Sì, ma all’ultima Leopolda lei ha parlato di Renzi come di un «figlio giusto».

«Chiariamo: io ho preso la prima tessera della mia vita poco tempo fa, al Circolo Pd Pallacorda. Avevo detto no a ben tre Leopolde precedenti. All’ultima sono andato perché Matteo era in difficoltà e io sono rimasto fedele alle mie idee, non sono scappato come molti altri».

Ma accostarlo a Telemaco non le sembra troppo? Renzi è stato per mesi un rottamator­e: non crede che sia più assimilabi­le a Edipo?

«Sì ma all’inizio c’è stato un processo edipico al contrario: la vecchia sinistra ha cercato di ucciderlo nella culla. La rottamazio­ne è stata una reazione. Anche se io non rottamerei tutto. Per dire, Veltroni e Melandri li terrei».

E Berlinguer?

«Ovvio, è un padre»

E Berlusconi? A quale mito lo accosta?

«A Priapo»

Professore…

«Ma il mio non era un riferiment­o banalmente genitale. Priapo è l’istinto a soddisfare desideri e aspirazion­i personali, e ha poco a che fare con la cosa pubblica».

D’Alema è Laio, vero? [Laio è il padre cattivo di Edipo]

«Ovviamente sì».

E Gentiloni?

«Una brava persona».

Lei è divisivo. La si ama o la si odia.

«Soffro quando mi accostano a nomi che hanno svenduto la psicanalis­i. Io mantengo un profilo basso. Non vado quasi mai in tv e su Sky parlo d’arte. Non è vero che scrivo libri scadenti: se qualcuno dei miei detrattori si prendesse la briga di leggerli, lo vedrebbe. Insegno all’università, a Pavia e a Verona».

Di che cosa ha paura?

«Di non esserci più per guardare negli occhi le persone che amo».

Ero in una scuola dove c’erano ragazzi con problemi E in quel senso io ero uno scarto Io troppo renziano? Non sono scappato come hanno fatto in molti, salendo su un altro carro

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