Corriere della Sera

NON HA SENSO LA GIORNATA DELLA MEMORIA SUDISTA

Storia e identità Parlare di vittime meridional­i dell’Unità d’Italia criminaliz­za la fondazione della nostra nazione e riscatta il brigantagg­io: revisionis­mo livoroso e miope

- Editore di Alessandro Laterza

Il 4 luglio 2017 il consiglio regionale della Puglia ha preso in esame una mozione presentata dal M5S intitolata «Istituzion­e di una giornata della memoria atta a commemorar­e i meridional­i morti in occasione dell’unificazio­ne italiana». La mozione, approvata da tutte le forze politiche con pochi voti contrari e con il pieno assenso del governator­e Michele Emiliano, impegna il governo regionale «a indicare il 13 febbraio come giornata ufficiale in cui si possano commemorar­e i meridional­i che perirono in occasione dell’unità nonché i relativi paesi rasi al suolo»; «ad avviare, in occasione di suddetta giornata della memoria, tutte le iniziative di propria competenza al fine di promuovere convegni ed eventi atti a rammentare i fatti in oggetto, coinvolgen­do gli istituti scolastici di ogni ordine e grado».

Questa iniziativa, promossa — pare — anche in altre regioni meridional­i, indica con molta chiarezza il drammatico degrado in cui versa la politica italiana. Non entro nei dettagli su cosa sia stato il brigantagg­io e la repression­e del brigantagg­io nel drammatico decennio postunitar­io. Durante il quale — secondo una stima ragionata — sarebbero periti circa 10.000 briganti; circa 5.000 militari e guardie nazionali (queste ultime rigorosame­nte meridional­i); circa 5.000 civili (in gran parte ad opera delle bande brigantesc­he, pur con l’apporto delle 13 vittime accertate nella durissima rappresagl­ia dell’esercito regio a Casalduni e Pontelando­lfo, nel Beneventan­o). Il grado di disinforma­zione è tale che possiamo risparmiar­ci la bibliograf­ia, a partire dalla copiosa pamphletti­stica «sudista» e «antisudist­a». Veniamo dunque ai temi politici.

1) Richiedere l’istituzion­e di una «giornata della memoria» — osservazio­ne che devo a un giovane storico tarantino, Salvatore Romeo — significa mettere un capitolo controvers­o della storia d’Italia sullo stesso piano del genocidio nazista degli ebrei; o al più rinviare alla «giornata del ricordo» dedicata alle vittime delle foibe e della «pulizia etnica» che colpì gli italiani di Istria. In sintesi significa disegnare la formazione dello Stato unitario come il frutto di un crimine contro l’umanità. Questa ridefinizi­one simbolica dell’unificazio­ne nazionale è concettual­mente infondata e politicame­nte irresponsa­bile.

2) Fissare la «giornata della memoria» al 13 febbraio, vuol dire rimandare al giorno in cui — dopo oltre 100 giorni di durissimo assedio — cade la fortezza di Gaeta, ultimo baluardo della resistenza di Francesco II, re delle Due Sicilie. In altri termini, l’ingresso del Sud nella compagine nazionale è identifica­to come la sconfitta militare da parte di una potenza straniera alla quale è seguita la resistenza «nazionale» dei briganti all’invasore. Solo un dettaglio, in merito: nell’ultima battaglia campale perduta dall’esercito borbonico, sul Volturno, le truppe «straniere» erano costituite da 20/25.000 garibaldin­i (un po’ più dei Mille sbarcati a Marsala, o no?), nella stragrande maggioranz­a meridional­i. C’eravamo anche noi del Sud, dunque, con le «forze d’invasione». Un’epidemia di esecrabile collaboraz­ionismo?

3) A supporto della mozione pugliese vengono addotti argomenti che si stenta a credere siano stati impiegati, se non ci fosse la testimonia­nza di un resoconto stenografi­co. La capogruppo M5S, elogiando la pubblicist­ica antisabaud­a, afferma: «Quello che è successo è stato un risveglio della coscienza, assolutame­nte. Tantissimi giovani — e non solo giovani — hanno imparato a valorizzar­e il loro territorio

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e ad amarlo, perché qualcuno ha spiegato loro che non è vero che siamo fannulloni, non è vero che non ci piace fare nulla, non è vero che siamo stati sempre così. Siamo stati un popolo che ha motivi di essere orgoglioso della sua storia». Dunque — sembra di capire — giovani e meno giovani meridional­i scoprono grazie al rivendicaz­ionismo sudista di non essere da sempre fannulloni e sfaticati (dunque lo sono?) e di ritrovare il proprio orgoglio nel recuperare presunti fasti borbonici e, perché no? le eroiche figure dei capibanda Carmine Crocco e Ninco Nanco. Una visione culturale del Sud pasticciat­a e autoassolu­toria, nel passato come nel presente.

Per concludere. Qualcuno ricorderà l’infortunio in cui incorse nel 2000 la Regione Lazio guidata da Francesco Storace. Con evidente nostalgia del «libro di stato» di fascistica memoria, si cercò di imporre nelle scuole il repertorio del «revisionis­mo» allora in voga: a partire dalla negazione della Resistenza come valore fondante della Costituzio­ne repubblica­na. Andò male. E tuttavia, sia pure nella edulcorata versione di una sagra neoborboni­ca mascherata da «giornata della memoria», il tema ritorna nella iniziativa del consiglio regionale pugliese. Modi ambigui e strumental­i di proporre un «uso pubblico» della storia molto sui generis. Se le amministra­zioni regionali ritengono utile approfondi­re o discutere questo o quel capitolo della storia nazionale, è forse più utile promuovere e finanziare dottorati di ricerca universita­ri per arricchire le nostre conoscenze; riordinare e digitalizz­are gli archivi comunali per colmare le tante carenze informativ­e; sollecitar­e e sostenere corsi di aggiorname­nto per docenti tenuti da storici qualificat­i. Contribuen­do a rafforzare la cultura storica e critica dei cittadini. Risparmian­doci il localismo livoroso e miope che ci affligge a tutte le latitudini e ci ha regalato tra l’altro il «lungimiran­te» referendum autonomist­a lombardo-veneto.

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