NON HA SENSO LA GIORNATA DELLA MEMORIA SUDISTA
Storia e identità Parlare di vittime meridionali dell’Unità d’Italia criminalizza la fondazione della nostra nazione e riscatta il brigantaggio: revisionismo livoroso e miope
Il 4 luglio 2017 il consiglio regionale della Puglia ha preso in esame una mozione presentata dal M5S intitolata «Istituzione di una giornata della memoria atta a commemorare i meridionali morti in occasione dell’unificazione italiana». La mozione, approvata da tutte le forze politiche con pochi voti contrari e con il pieno assenso del governatore Michele Emiliano, impegna il governo regionale «a indicare il 13 febbraio come giornata ufficiale in cui si possano commemorare i meridionali che perirono in occasione dell’unità nonché i relativi paesi rasi al suolo»; «ad avviare, in occasione di suddetta giornata della memoria, tutte le iniziative di propria competenza al fine di promuovere convegni ed eventi atti a rammentare i fatti in oggetto, coinvolgendo gli istituti scolastici di ogni ordine e grado».
Questa iniziativa, promossa — pare — anche in altre regioni meridionali, indica con molta chiarezza il drammatico degrado in cui versa la politica italiana. Non entro nei dettagli su cosa sia stato il brigantaggio e la repressione del brigantaggio nel drammatico decennio postunitario. Durante il quale — secondo una stima ragionata — sarebbero periti circa 10.000 briganti; circa 5.000 militari e guardie nazionali (queste ultime rigorosamente meridionali); circa 5.000 civili (in gran parte ad opera delle bande brigantesche, pur con l’apporto delle 13 vittime accertate nella durissima rappresaglia dell’esercito regio a Casalduni e Pontelandolfo, nel Beneventano). Il grado di disinformazione è tale che possiamo risparmiarci la bibliografia, a partire dalla copiosa pamphlettistica «sudista» e «antisudista». Veniamo dunque ai temi politici.
1) Richiedere l’istituzione di una «giornata della memoria» — osservazione che devo a un giovane storico tarantino, Salvatore Romeo — significa mettere un capitolo controverso della storia d’Italia sullo stesso piano del genocidio nazista degli ebrei; o al più rinviare alla «giornata del ricordo» dedicata alle vittime delle foibe e della «pulizia etnica» che colpì gli italiani di Istria. In sintesi significa disegnare la formazione dello Stato unitario come il frutto di un crimine contro l’umanità. Questa ridefinizione simbolica dell’unificazione nazionale è concettualmente infondata e politicamente irresponsabile.
2) Fissare la «giornata della memoria» al 13 febbraio, vuol dire rimandare al giorno in cui — dopo oltre 100 giorni di durissimo assedio — cade la fortezza di Gaeta, ultimo baluardo della resistenza di Francesco II, re delle Due Sicilie. In altri termini, l’ingresso del Sud nella compagine nazionale è identificato come la sconfitta militare da parte di una potenza straniera alla quale è seguita la resistenza «nazionale» dei briganti all’invasore. Solo un dettaglio, in merito: nell’ultima battaglia campale perduta dall’esercito borbonico, sul Volturno, le truppe «straniere» erano costituite da 20/25.000 garibaldini (un po’ più dei Mille sbarcati a Marsala, o no?), nella stragrande maggioranza meridionali. C’eravamo anche noi del Sud, dunque, con le «forze d’invasione». Un’epidemia di esecrabile collaborazionismo?
3) A supporto della mozione pugliese vengono addotti argomenti che si stenta a credere siano stati impiegati, se non ci fosse la testimonianza di un resoconto stenografico. La capogruppo M5S, elogiando la pubblicistica antisabauda, afferma: «Quello che è successo è stato un risveglio della coscienza, assolutamente. Tantissimi giovani — e non solo giovani — hanno imparato a valorizzare il loro territorio
Alternative Per rafforzare la cultura e di un territorio conviene investire nell’Università
e ad amarlo, perché qualcuno ha spiegato loro che non è vero che siamo fannulloni, non è vero che non ci piace fare nulla, non è vero che siamo stati sempre così. Siamo stati un popolo che ha motivi di essere orgoglioso della sua storia». Dunque — sembra di capire — giovani e meno giovani meridionali scoprono grazie al rivendicazionismo sudista di non essere da sempre fannulloni e sfaticati (dunque lo sono?) e di ritrovare il proprio orgoglio nel recuperare presunti fasti borbonici e, perché no? le eroiche figure dei capibanda Carmine Crocco e Ninco Nanco. Una visione culturale del Sud pasticciata e autoassolutoria, nel passato come nel presente.
Per concludere. Qualcuno ricorderà l’infortunio in cui incorse nel 2000 la Regione Lazio guidata da Francesco Storace. Con evidente nostalgia del «libro di stato» di fascistica memoria, si cercò di imporre nelle scuole il repertorio del «revisionismo» allora in voga: a partire dalla negazione della Resistenza come valore fondante della Costituzione repubblicana. Andò male. E tuttavia, sia pure nella edulcorata versione di una sagra neoborbonica mascherata da «giornata della memoria», il tema ritorna nella iniziativa del consiglio regionale pugliese. Modi ambigui e strumentali di proporre un «uso pubblico» della storia molto sui generis. Se le amministrazioni regionali ritengono utile approfondire o discutere questo o quel capitolo della storia nazionale, è forse più utile promuovere e finanziare dottorati di ricerca universitari per arricchire le nostre conoscenze; riordinare e digitalizzare gli archivi comunali per colmare le tante carenze informative; sollecitare e sostenere corsi di aggiornamento per docenti tenuti da storici qualificati. Contribuendo a rafforzare la cultura storica e critica dei cittadini. Risparmiandoci il localismo livoroso e miope che ci affligge a tutte le latitudini e ci ha regalato tra l’altro il «lungimirante» referendum autonomista lombardo-veneto.