UNA GARA TRA CHI URLA DI PIÙ
L’avvocato di Berlusconi guida l’operazione rientro dei centristi
La comunicazione politica funziona per automatismi: si dice ciò che ci si aspetta che i propri elettori vogliano sentire anche se si tratta di frasi senza senso o riferite a oggetti non più esistenti. Ecco due esempi: «Un centrodestra unito vincerebbe» (Berlusconi e i suoi). «Il leader del partito che risulterà più forte alle elezioni sarà il candidato-premier» (Renzi). Peccato che il «centrodestra» non esista più e che, difficilmente, nelle vigenti condizioni il leader del partito che avrà più voti diventerà primo ministro. Spesso, gli stati maggiori si preparano per la prossima guerra immaginando che sia simile alla precedente. Allo stesso modo i politici usano gli slogan di una stagione passata quando ormai il contesto è radicalmente mutato. Nel 1994 si tennero le prime elezioni con il sistema maggioritario. Anziché adattarsi immediatamente alle nuove condizioni i politici iniziarono quella campagna elettorale facendo riferimento agli schemi di gioco, agli stilemi e ai tic della passata epoca, quando era in vigore la proporzionale. Solo quando «scese in campo» Berlusconi, il primo autentico leader dell’età maggioritaria, il gioco cambiò bruscamente.
Accade oggi di nuovo: ci avviamo (dopo un ventennio) alle prime elezioni con la legge proporzionale e molti politici parlano «come se» fosse ancora in vigore il sistema maggioritario. Se non sapessimo che è una finzione dovremmo accusare di incoerenza e di illogicità Berlusconi e i suoi quando evocano il «centrodestra».
MILANO «Con la regia di Ghedini». Negli ultimi tempi non c’è operazione politica nel campo di Forza Italia — centristi che ritornano, ministri e sottosegretari che abbandonano Gentiloni e scelgono il centrodestra — che non sia descritta come frutto della «regia» dello storico avvocato di Silvio Berlusconi. Ma sarà poi vero che Niccolò Ghedini, 57 anni padovano, ha scalato il partito e si muove, ormai, come un coordinatore in pectore?
Pochissimo presente in Senato — il vicepresidente leghista Roberto Calderoli dice che lo vedrà «al massimo un paio di volte all’anno» — tutto il suo lavoro è sempre stato al totale servizio di Silvio Berlusconi. L’attività parlamentare, in effetti, pare annoiarlo a morte: «Tra i banchi si fa solo fiction» ha confessato in un’intervista.
Non bastasse essere considerato l’esecutore silenzioso dei progetti del Cavaliere, colui che «chiude l’affare» politico deciso dal capo, ora dicono sia entrato nella fiducia assoluta anche della figlia Marina. Il che lo renderebbe assai potente nel partito. Per dirla con Gianfranco Rotondi «in un’ottica vaticana, se Berlusconi è il papa laico, Ghedini è il segretario di Stato. E io sono monsignor Rotondi». L’ex ministro e fondatore di Rivoluzione cristiana ci aggiunge anche che «dopo la sarabanda di tradimenti che ha dovuto subire, Berlusconi credo abbia maturato una certa sfiducia nel ceto politico e quindi preferisce affidarsi agli amici di sempre. E Ghedini è un amico. Quando vado ad Arcore, lui c’è sempre. Perché tra le persone di fiducia è affidabile e serio».
L’attivismo dell’avvocato, però, è stato notato. È vero, in genere gli viene riconosciuto di essere «una persona poco interessata a posizioni di potere in proprio». Maurizio Gasparri racconta di averglielo
Gianfranco Rotondi
anche chiesto, tempo fa: «Ma perché il coordinatore non lo fai tu? Il direttore ce l’abbiamo, manca un caporedattore. Ma lui nulla, si è schermito». Ed è difficile trovare qualcuno che non riconosca a Ghedini equilibrio e il pregio di non «smaniare» per un incarico.
Però, con il crescere dell’influenza le sue mosse sono osservate con attenzione anche preoccupata. Per cominciare, c’è il rientro dei centristi che fin qui hanno sostenuto il governo. Quelli che ora dovrebbero costruire, con pura «regia Ghedini», la cosiddetta «quarta gamba» del centrodestra. In teoria, la strategia potrebbe preludere a un Predellino 2. E pensare che fino a poco fa molti la chiamavano «bad company». Ora non più: perché nessuno si illude che i centristi correranno davvero da soli, con una loro sigla. Ci sono azzurri che parlano di «traditori premiati a cui bisognerà trovare un posto in lista. Perché se non ci sarà il premio di coalizione, questi chi se li cucca?».
Uno schema insopportabile, per molti. Soprattutto se dovesse passare — anche come contrappeso a questo tipo di personalità non precisamente inedite — la dottrina «volti nuovi in lista» per cui si batte un’altra figura vicinissima al Cavaliere, Licia Ronzulli: uomo simbolo, il brillante direttore dell’autodromo di Monza Francesco Ferri, avvistato diverse volte in quel di Arcore.
C’è inoltre chi fa i conti delle ultime iniziative: «In Veneto, dove Ghedini ha da tempo pie- ni poteri, FI è ridotta al 3 per cento. In Sicilia non è riuscito a contrastare Micciché. E così, siamo alla quasi rottura con la Meloni e tutta la coalizione sta andando a carte quarantotto». Accusa collaterale: l’eccesso di centrismo. Se consente a Berlusconi di ricordare a tutti la sua capacità di attrazione, rischia di regalare a Salvini una fin troppo comoda occasione di rottura con Forza Italia. Il bello è che anche un leghista doc come Calderoli riconosce a Ghedini «di essere sempre stato coerente con la storia del centrodestra. Non mi pare che sia mai stato attratto da Renzi e compagnia cantante».
L’«implosione» del partito potrebbe far apparire il peso di Ghedini maggiore di quello che è. Qualcuno enumera: «I capigruppo Romani e Brunetta neanche si parlano, Tajani è scomparso in Europa, la segreteria non esiste più, la Gelmini è schiacciata da Brunetta. Nessuno esce da sotto il pelo dell’acqua, forse soltanto Mara Carfagna che interpreta la rappresentante del Sud ostile all’asse Toti-Salvini». E così, l’avvocato silenzioso pare contare sempre di più. Anche se a lui non interessa.
Usando un linguaggio vaticano, se Berlusconi è un papa laico, Niccolò Ghedini è il segretario di Stato