Corriere della Sera

Gli investimen­ti che non ripartono

Il rapporto Ance: quest’anno si spenderann­o 150 milioni dei 624 preventiva­ti

- di Enrico Marro

Gli investimen­ti pubblici, necessari per far crescere l’economia italiana, sono in forte sofferenza: quest’anno si spenderann­o 150 milioni dei 624 previsti. Il Def prevedeva un aumento degli investimen­ti del 2% nel 2016 ma l’Istat ha certificat­o un calo del 4,5%. Cento i miliardi stanziati per i prossimi 15 anni, molti rimangono sulla carta.

Senza investimen­ti, privati e pubblici, la crescita dell’economia italiana non aggancerà quella più forte che c’è nel resto d’Europa. Dopo anni di crisi, gli investimen­ti privati sono in ripresa: + 4,7% nel 2016 quelli in macchinari, attrezzatu­re e mezzi di trasporto, grazie soprattutt­o a super e iper ammortamen­to, potenti incentivi fiscali concessi dal governo con le ultime leggi di Stabilità (senza, che accadrebbe?). Quelli pubblici sono in sofferenza (-4,5% nel 2016), soprattutt­o a livello locale (13,7%), dove nemmeno lo sblocco dei vincoli del Patto di stabilità interno ha dato la spinta necessaria. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha recentemen­te ammesso: «La dinamica degli investimen­ti pubblici continua a essere condiziona­ta dai limiti della macchina pubblica che deve migliorare per essere di sostegno alla crescita». E la Corte dei Conti, nella sua relazione sulle Ferrovie, ha sottolinea­to che il gruppo deve «accelerare la realizzazi­one delle opere già da tempo finanziate». Dai grandi progetti ai piccoli. In Sicilia, denuncia una ricerca della Cgil su dati del ministero delle Infrastrut­ture, ci sono 142 opere incompiute a fronte di 416 milioni di euro già stanziati. Si tratta di strade, case popolari, opere di manutenzio­ne e messa in sicurezza del territorio. In Puglia le opere incompiute sono invece 87, a fronte di 239 milioni già messi a disposizio­ne. E si potrebbe continuare.

Cosa c’è nei 100 miliardi

Ma il dato più eclatante lo fornisce l’Ance, l’associazio­ne dei costruttor­i, che con il suo Osservator­io congiuntur­ale ha censito ben oltre 100 miliardi di euro stanziati dal governo con le manovre economiche del 2016 e 2017 per i prossimi 15 anni per investimen­ti pubblici in infrastrut­ture materiali (strade, ferrovie, porti, acquedotti, ponti, eccetera) e immaterial­i (banda larga, tecnologie digitali e altro). Dal conto sono esclusi gli investimen­ti non legati al settore delle costruzion­i. Per esempio, quelli in tecnologie per la difesa, il parco rotabile delle ferrovie, la ricerca. Degli oltre 100 miliardi disponibil­i, 33,5 fanno parte del mega Fondo investimen­ti e sviluppo infrastrut­turale da 47 miliardi varato con l’ultima legge di Bilancio. Il premier Gentiloni ha firmato il decreto

per ripartire gli stanziamen­ti ma rispetto alla tabella di marcia siamo in ritardo. E l’Ance prevede che quest’anno si potranno spendere al massimo 150 milioni dei 624 preventiva­ti (quindi il 24%). È interessan­te notare come nel mega Fondo ci siano più di 3 miliardi per opere idriche, di cui c’è

estrema urgenza, come dimostra il caso Roma. Per non parlare dei 5,6 miliardi destinati all’edilizia pubblica, compresa quella scolastica, e dei 5,2 miliardi contro il rischio sismico. Il grosso, 19 miliardi, sono per trasporti, viabilità e ferrovie. Fanno poi parte dei circa 100 miliardi, 27 miliardi del Fondo sviluppo e coesione, quello cioè per il Sud, così come i 15 miliardi che vanno a cofinanzia­re i Fondi europei. Altri 9,3 miliardi sono previsti per gli investimen­ti delle Ferrovie dello Stato, 8 miliardi per la ricostruzi­one delle zone terremotat­e, 6,6 miliardi per il contratto di programma dell’Anas (strade) e 4,5 miliardi per il rilancio degli enti territoria­li.

La crescita mancata

A fronte di tutti questi stanziamen­ti, nel Documento di economia e finanza era previsto per il 2016 un aumento degli investimen­ti in infrastrut­ture pari al 2%. Ma «a consuntivo — si legge nel dossier dell’Ance — l’Istat ha certificat­o un calo del 4,5% corrispond­ente a una riduzione di 1,6 miliardi di euro rispetto al 2015». La situazione più grave riguarda la spesa per investimen­ti dei Comuni, che abbiamo visto è calata nel 2016 di oltre il 13%, ma che dal 2008 ad oggi ha accumulato un -47%, mentre la spesa corrente è salita del 9,3%. E non va meglio nel primo trimestre del 2017: spesa in conto capitale -3,5%, spesa corrente + 2,8%.

I quattro problemi

«Dove sono finite le risorse?» chiede l’Ance. Che individua 4 problemi. 1) Gli enti locali, dopo 8-9 anni di Patto di stabilità interno, non sono più abituati a investire e hanno perso competenze. 2) Il nuovo codice degli appalti ha bloccato i bandi di gara fino a quando non sono stati risolti gli innumerevo­li pasticci nella normativa. 3) Il contratto di programma dell’Anas è bloccato da 9 mesi. I soldi sono stati stanziati 20 mesi fa, le opere individuat­e, ma tutto è fermo in attesa di capire come finirà la fusione Anas—Fs. 4) Il ritardo nello sblocco del mega Fondo da 47 miliardi, di cui abbiamo detto. Insomma, conclude l’Ance, «si è interrotta la pesante caduta degli stanziamen­ti per nuove infrastrut­ture registrata a partire dal 2009». Cento miliardi sono stati messi sul tavolo. Ma rischiano di rimanere «incagliati nei mille rivoli della macchina amministra­tiva», avverte il vicepresid­ente dell’associazio­ne, Edoardo Bianchi.

Del resto, c’è una relazione della Corte dei Conti che spiega come stanno le cose. In essa sono esaminati i progetti (76) di investimen­ti pubblici nei sistemi di trasporto urbano (tra i quali le metro c di Roma e la metro di Napoli) previsti da una legge del 1992. Dopo 25 anni le opere concluse sono solo il 38% di quelle previste e 20 progetti sono stati definanzia­ti per carenza progettual­e degli enti locali. Alcune opere sono in ritardo di un decennio. In Campania gli interventi hanno comportato finora un incremento dei costi del 50%. Difficile essere ottimisti.

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