Gli investimenti che non ripartono
Il rapporto Ance: quest’anno si spenderanno 150 milioni dei 624 preventivati
Gli investimenti pubblici, necessari per far crescere l’economia italiana, sono in forte sofferenza: quest’anno si spenderanno 150 milioni dei 624 previsti. Il Def prevedeva un aumento degli investimenti del 2% nel 2016 ma l’Istat ha certificato un calo del 4,5%. Cento i miliardi stanziati per i prossimi 15 anni, molti rimangono sulla carta.
Senza investimenti, privati e pubblici, la crescita dell’economia italiana non aggancerà quella più forte che c’è nel resto d’Europa. Dopo anni di crisi, gli investimenti privati sono in ripresa: + 4,7% nel 2016 quelli in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto, grazie soprattutto a super e iper ammortamento, potenti incentivi fiscali concessi dal governo con le ultime leggi di Stabilità (senza, che accadrebbe?). Quelli pubblici sono in sofferenza (-4,5% nel 2016), soprattutto a livello locale (13,7%), dove nemmeno lo sblocco dei vincoli del Patto di stabilità interno ha dato la spinta necessaria. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha recentemente ammesso: «La dinamica degli investimenti pubblici continua a essere condizionata dai limiti della macchina pubblica che deve migliorare per essere di sostegno alla crescita». E la Corte dei Conti, nella sua relazione sulle Ferrovie, ha sottolineato che il gruppo deve «accelerare la realizzazione delle opere già da tempo finanziate». Dai grandi progetti ai piccoli. In Sicilia, denuncia una ricerca della Cgil su dati del ministero delle Infrastrutture, ci sono 142 opere incompiute a fronte di 416 milioni di euro già stanziati. Si tratta di strade, case popolari, opere di manutenzione e messa in sicurezza del territorio. In Puglia le opere incompiute sono invece 87, a fronte di 239 milioni già messi a disposizione. E si potrebbe continuare.
Cosa c’è nei 100 miliardi
Ma il dato più eclatante lo fornisce l’Ance, l’associazione dei costruttori, che con il suo Osservatorio congiunturale ha censito ben oltre 100 miliardi di euro stanziati dal governo con le manovre economiche del 2016 e 2017 per i prossimi 15 anni per investimenti pubblici in infrastrutture materiali (strade, ferrovie, porti, acquedotti, ponti, eccetera) e immateriali (banda larga, tecnologie digitali e altro). Dal conto sono esclusi gli investimenti non legati al settore delle costruzioni. Per esempio, quelli in tecnologie per la difesa, il parco rotabile delle ferrovie, la ricerca. Degli oltre 100 miliardi disponibili, 33,5 fanno parte del mega Fondo investimenti e sviluppo infrastrutturale da 47 miliardi varato con l’ultima legge di Bilancio. Il premier Gentiloni ha firmato il decreto
per ripartire gli stanziamenti ma rispetto alla tabella di marcia siamo in ritardo. E l’Ance prevede che quest’anno si potranno spendere al massimo 150 milioni dei 624 preventivati (quindi il 24%). È interessante notare come nel mega Fondo ci siano più di 3 miliardi per opere idriche, di cui c’è
estrema urgenza, come dimostra il caso Roma. Per non parlare dei 5,6 miliardi destinati all’edilizia pubblica, compresa quella scolastica, e dei 5,2 miliardi contro il rischio sismico. Il grosso, 19 miliardi, sono per trasporti, viabilità e ferrovie. Fanno poi parte dei circa 100 miliardi, 27 miliardi del Fondo sviluppo e coesione, quello cioè per il Sud, così come i 15 miliardi che vanno a cofinanziare i Fondi europei. Altri 9,3 miliardi sono previsti per gli investimenti delle Ferrovie dello Stato, 8 miliardi per la ricostruzione delle zone terremotate, 6,6 miliardi per il contratto di programma dell’Anas (strade) e 4,5 miliardi per il rilancio degli enti territoriali.
La crescita mancata
A fronte di tutti questi stanziamenti, nel Documento di economia e finanza era previsto per il 2016 un aumento degli investimenti in infrastrutture pari al 2%. Ma «a consuntivo — si legge nel dossier dell’Ance — l’Istat ha certificato un calo del 4,5% corrispondente a una riduzione di 1,6 miliardi di euro rispetto al 2015». La situazione più grave riguarda la spesa per investimenti dei Comuni, che abbiamo visto è calata nel 2016 di oltre il 13%, ma che dal 2008 ad oggi ha accumulato un -47%, mentre la spesa corrente è salita del 9,3%. E non va meglio nel primo trimestre del 2017: spesa in conto capitale -3,5%, spesa corrente + 2,8%.
I quattro problemi
«Dove sono finite le risorse?» chiede l’Ance. Che individua 4 problemi. 1) Gli enti locali, dopo 8-9 anni di Patto di stabilità interno, non sono più abituati a investire e hanno perso competenze. 2) Il nuovo codice degli appalti ha bloccato i bandi di gara fino a quando non sono stati risolti gli innumerevoli pasticci nella normativa. 3) Il contratto di programma dell’Anas è bloccato da 9 mesi. I soldi sono stati stanziati 20 mesi fa, le opere individuate, ma tutto è fermo in attesa di capire come finirà la fusione Anas—Fs. 4) Il ritardo nello sblocco del mega Fondo da 47 miliardi, di cui abbiamo detto. Insomma, conclude l’Ance, «si è interrotta la pesante caduta degli stanziamenti per nuove infrastrutture registrata a partire dal 2009». Cento miliardi sono stati messi sul tavolo. Ma rischiano di rimanere «incagliati nei mille rivoli della macchina amministrativa», avverte il vicepresidente dell’associazione, Edoardo Bianchi.
Del resto, c’è una relazione della Corte dei Conti che spiega come stanno le cose. In essa sono esaminati i progetti (76) di investimenti pubblici nei sistemi di trasporto urbano (tra i quali le metro c di Roma e la metro di Napoli) previsti da una legge del 1992. Dopo 25 anni le opere concluse sono solo il 38% di quelle previste e 20 progetti sono stati definanziati per carenza progettuale degli enti locali. Alcune opere sono in ritardo di un decennio. In Campania gli interventi hanno comportato finora un incremento dei costi del 50%. Difficile essere ottimisti.