«No al metodo Malta»
Il premier Gentiloni e l’equilibrio tra fermezza e regole
Il presidente del Consiglio media, smussa, cerca di evitare che si alzino i toni. Il punto, ammettono dal suo staff, è che il codice delle Ong adottato dal nostro governo prevede controlli di sicurezza e trasparenza, ma non consente in alcun modo all’Italia di fare passi ulteriori, per esempio chiudere i porti.
«Paolo Gentiloni non ha ancora preso una decisione, il Codice sulle Ong voluto dal Viminale e votato dal Parlamento al momento non autorizza quello che chiedono le opposizioni e che lo stesso ministro dell’Interno conosce benissimo. Non ci sono soluzioni facili a problemi molto complessi».
Chi parla, a Palazzo Chigi, segue il dossier migranti da vicino e sa bene che le filosofie con cui Marco Minniti e Graziano Delrio affrontano il problema sono distanti, almeno per alcuni versi. Nessuno tratta come un mistero che «Minniti ha una sintonia privilegiata con Renzi e che c’è certamente un problema di opinione pubblica che può suggerire alcune politiche e alcuni passi del governo, ma sino ad un certo punto».
Il punto, ammettono ancora nello staff di Gentiloni, è che il Codice delle Ong adottato dal nostro governo, in sintonia con l’Unione Europea, non autorizza una stretta se non sui controlli di sicurezza e trasparenza delle imbarcazioni che salvano i migranti, ma non consente in alcun modo all’Italia di fare passi ulteriori, per esempio chiudere i porti.
Esistono regole di diritto internazionale, con conseguenze in termini di infrazioni della Ue e di eventuale omissione di soccorso, che al momento il nostro Stato è tenuto a rispettare. A meno che, appunto, non venga presa una decisione normativa e parlamentare ulteriore, in modo pubblico e trasparente, cosa che sin qui non è stato.
E dunque al momento la posizione del presidente del Consiglio non può che essere quella di una figura di mediazione fra i possibili attriti fra i due dicasteri, quello dell’Interno e quello delle Infrastrutture, mediazione che si traduce in queste ore, in alcuni casi, in richiesta esplicita di collaborazione fattiva, se è vero come raccontano che due sera fa, nel caso dello sbarco a Lampedusa, la decisione è stata coordinata fra Viminale e Guardia costiera, e non c’è stata alcuna iniziativa istituzionale autonoma.
Ovviamente esistono margini per adottare regole ulteriori e diverse, magari concordate con Bruxelles, ma devono essere prese al più alto livello politico: insomma chiudere i porti, chiudere l’approdo a delle Ong che hanno già dei migranti a bordo, significherebbe comportarsi come Malta o come la Tunisia, ma la domanda è se davvero l’Italia può permettersi una simile decisione politica e se Gentiloni, nel caso, ne abbia la forza e la voglia.
Non c’è dubbio che un simile passo farebbe scalpore, avrebbe delle conseguenze in termini di diritto internazionale e anche interno, visto che la nostra magistratura sarebbe costretta ad intervenire in caso di drammi nelle nostre acque territoriali, ma al momento non sembra che Palazzo Chigi sia prossimo ad adottare ulteriori misure di deterrenza oltre a quelle già prese dal Viminale con il Codice sulle Ong, dal nostro ministero della Difesa con l’invio di due navi della nostra Marina, dall’esecutivo in modo generale con la collaborazione con la Guardia costiera libica.
Le novità Al momento è possibile una stretta solo sui controlli di sicurezza e trasparenza Gli obblighi Il nostro Paese deve rispettare quanto previsto dal diritto internazionale