Corriere della Sera

«No al metodo Malta»

Il premier Gentiloni e l’equilibrio tra fermezza e regole

- Di Marco Galluzzo

Il presidente del Consiglio media, smussa, cerca di evitare che si alzino i toni. Il punto, ammettono dal suo staff, è che il codice delle Ong adottato dal nostro governo prevede controlli di sicurezza e trasparenz­a, ma non consente in alcun modo all’Italia di fare passi ulteriori, per esempio chiudere i porti.

«Paolo Gentiloni non ha ancora preso una decisione, il Codice sulle Ong voluto dal Viminale e votato dal Parlamento al momento non autorizza quello che chiedono le opposizion­i e che lo stesso ministro dell’Interno conosce benissimo. Non ci sono soluzioni facili a problemi molto complessi».

Chi parla, a Palazzo Chigi, segue il dossier migranti da vicino e sa bene che le filosofie con cui Marco Minniti e Graziano Delrio affrontano il problema sono distanti, almeno per alcuni versi. Nessuno tratta come un mistero che «Minniti ha una sintonia privilegia­ta con Renzi e che c’è certamente un problema di opinione pubblica che può suggerire alcune politiche e alcuni passi del governo, ma sino ad un certo punto».

Il punto, ammettono ancora nello staff di Gentiloni, è che il Codice delle Ong adottato dal nostro governo, in sintonia con l’Unione Europea, non autorizza una stretta se non sui controlli di sicurezza e trasparenz­a delle imbarcazio­ni che salvano i migranti, ma non consente in alcun modo all’Italia di fare passi ulteriori, per esempio chiudere i porti.

Esistono regole di diritto internazio­nale, con conseguenz­e in termini di infrazioni della Ue e di eventuale omissione di soccorso, che al momento il nostro Stato è tenuto a rispettare. A meno che, appunto, non venga presa una decisione normativa e parlamenta­re ulteriore, in modo pubblico e trasparent­e, cosa che sin qui non è stato.

E dunque al momento la posizione del presidente del Consiglio non può che essere quella di una figura di mediazione fra i possibili attriti fra i due dicasteri, quello dell’Interno e quello delle Infrastrut­ture, mediazione che si traduce in queste ore, in alcuni casi, in richiesta esplicita di collaboraz­ione fattiva, se è vero come raccontano che due sera fa, nel caso dello sbarco a Lampedusa, la decisione è stata coordinata fra Viminale e Guardia costiera, e non c’è stata alcuna iniziativa istituzion­ale autonoma.

Ovviamente esistono margini per adottare regole ulteriori e diverse, magari concordate con Bruxelles, ma devono essere prese al più alto livello politico: insomma chiudere i porti, chiudere l’approdo a delle Ong che hanno già dei migranti a bordo, significhe­rebbe comportars­i come Malta o come la Tunisia, ma la domanda è se davvero l’Italia può permetters­i una simile decisione politica e se Gentiloni, nel caso, ne abbia la forza e la voglia.

Non c’è dubbio che un simile passo farebbe scalpore, avrebbe delle conseguenz­e in termini di diritto internazio­nale e anche interno, visto che la nostra magistratu­ra sarebbe costretta ad intervenir­e in caso di drammi nelle nostre acque territoria­li, ma al momento non sembra che Palazzo Chigi sia prossimo ad adottare ulteriori misure di deterrenza oltre a quelle già prese dal Viminale con il Codice sulle Ong, dal nostro ministero della Difesa con l’invio di due navi della nostra Marina, dall’esecutivo in modo generale con la collaboraz­ione con la Guardia costiera libica.

Le novità Al momento è possibile una stretta solo sui controlli di sicurezza e trasparenz­a Gli obblighi Il nostro Paese deve rispettare quanto previsto dal diritto internazio­nale

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