Corriere della Sera

Stelvio, il ghiaccio cede: stop allo sci estivo dopo 90 anni

- Silvia Fabbi

Il riscaldame­nto globale scioglie da tempo i ghiacciai di Tonale e Presanella, ma lui restava una certezza. Inscalfibi­le, lo Stelvio era lì, d’estate come d’inverno, con le sue piste da sci, palestra per generazion­i di olimpionic­i e leggende del circo bianco. Eppure alla fine è stato costretto a cedere anche lui. Da ieri skilift fermi per la prima volta dagli anni Trenta, quando furono realizzati gli impianti di risalita che collegano il passo a 2.757 metri di quota con la punta Gaiser, 700 metri più in alto. Per una decina di giorni, intanto. Poi si vedrà.

«Una tristezza infinita» riassume Deborah Compagnoni, che sulle piste dello Stelvio è di casa fin dagli anni Ottanta, quando era appena una ragazzina. «Me l’ha detto mio fratello, che fa la guida alpina. È stato un enorme dispiacere per me sapere che quelle piste, simbolo assoluto dello sci estivo, sono diventate troppo pericolose a causa della poca neve» riferisce la sciatrice italiana che ha vinto di più nella storia degli sport invernali.

Con lo zero termico a 4.500 metri e un’escursione pressoché inesistent­e durante la notte, i crepacci iniziano a farsi troppo pericolosi, mettendo in seria crisi anche la staticità dei piloni che reggono gli impianti. «Già adesso — prosegue la plurimedag­liata olimpica, che a 1.738 metri gestisce un hotel a Santa Caterina Valfurva — si ipotizza di iniziare a rendere transitabi­le il passo anche d’inverno. In questo modo lo Stelvio diventereb­be una destinazio­ne sciistica invernale a tutti gli effetti, sostituend­o quelle, più a bassa quota».

Una cosa è certa: le cose nell’ultimo secolo sono cambiate in modo palpabile e, per Gustav Thoeni, preoccupan­te. Perché quando il vincitore del gigante ai Giochi di Sapporo nel 1972 si allenava d’estate sulle piste del ghiacciaio dello Stelvio «capitava non di rado che nevicasse anche a luglio o ad agosto. All’epoca si potevano usare tutto l’anno anche gli impianti che partivano direttamen­te dal passo, mentre è da diverse stagioni che gli sciatori sono costretti a lanciarsi solo da quelle sopra i 3.000 metri. Le nazionali più forti negli sport invernali migrano invece sistematic­amente nell’emisfero australe, in Cile». Dal suo hotel di Trafoi Thoeni monitora lo spessore della calotta sullo Stelvio e il suo disgregars­i è praticamen­te quotidiano: «Purtroppo lo vediamo tutti i giorni: crepacci che si aprono, atleti costretti a sciare sul ghiaccio vivo. Questo mi intristisc­e, ma soprattutt­o mi preoccupa per il futuro degli sport invernali. Fa impression­e vedere con quale rapidità stia cambiando il paesaggio della montagna».

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Pietre in vista Una delle piste da sci sul ghiacciaio dello Stelvio nei giorni scorsi

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