LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NON È LA VERA ANOMALIA
Sbagliato accusare i Tar di rallentare il Paese Ma vanno attuate, e valutate negli effetti, le tante misure di riforma introdotte nell’ordinamento
Caro direttore, in un Paese segnato da anni di dura crisi economica e che soltanto da poco ha ricominciato timidamente a crescere, è normale che si apra la «caccia» ai tanti «mali» che affliggono l’Italia. Ma il rischio di sbagliare bersaglio, magari facendo sparare (metaforicamente si intende) chi non ha mai preso un fucile in mano o ha altre mire, è molto elevato.
Esemplare in proposito è il dibattito sulla giustizia amministrativa (affiorato da ultimo anche sulle pagine del Corriere lo scorso 4 agosto), spesso accusata di rallentare il Paese, se non addirittura di impedire la crescita del Pil o di bloccare le riforme.
Intendiamoci: queste accuse, ancorché un po’ grossolane, sono talora comprensibili se si guarda a singole vicende giudiziarie, a volte davvero sconcertanti. Ma se si affronta la questione in termini istituzionali, bisogna innanzitutto superare un approccio provinciale.
L’organizzazione della giustizia amministrativa italiana e l’ambito della sua giurisdizione, infatti, non costituiscono affatto un’anomalia del nostro Paese, ma sono in linea con quanto avviene in quasi tutta Europa. Basti pensare che, in Francia, la giurisdizione amministrativa, articolata in ben tre gradi di giudizio, è ben più ampia della nostra. Ma anche in Paesi che, diversamente dall’Italia, non sono stati direttamente influenzati dal modello francese, la situazione non è molto diversa. In Germania, ad esempio, dove pure non costituiscono un ordine autonomo e separato, le corti amministrative si pronunciano su tutte le controversie di diritto pubblico. Persino nel Regno Unito, la tanto decantata esperienza degli administrative tribunals conferma l’esigenza di una tutela specializzata nei confronti del potere pubblico (ancorché esercitata in forme non giurisdizionali). Alcune aree importanti del contenzioso, come quella degli appalti, d’altra parte, sono rette da regole comuni europee, a garanzia della parità concorrenziale dei partecipanti alle gare.
Ciò significa che non c’è nulla da fare o che tutto funziona per il meglio? Non è certo così, come si evince anche dal rigoroso bilancio, pieno di luci e di ombre, offerto dal presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, in occasione dell’inaugurazione del corrente anno giudiziario. È vero: negli ultimi anni, si è rafforzata la tutela dei diritti fondamentali e si sono accelerati i tempi per la soluzione dei contenziosi più rilevanti. Eppure, lo stock dei ricorsi pendenti e il flusso di quelli nuovi rimangono notevoli, lasciando così insoddisfatta una parte della domanda di giustizia e rendendo instabili molte decisioni pubbliche, che spesso toccano gli interessi di molti cittadini o di intere collettività.
Ma la soluzione a questi problemi non può certo essere la soppressione del giudice amministrativo, la cui funzione peraltro è costituzional- mente garantita, o la riduzione dell’ambito della sua giurisdizione, con la conseguente devoluzione al giudice ordinario di un numero maggiore di controversie con la Pubblica amministrazione. Poiché la Costituzione stabilisce che è sempre ammessa la tutela nei confronti di quest’ultima, infatti, lo spostamento della giurisdizione non ridurrebbe certo il numero dei ricorsi. Mentre si accrescerebbe l’intasamento delle aule giudiziarie, dato che, alla prova dei fatti, il principale vantaggio competitivo del giudice amministrativo
Bersagli Le cause di molti problemi risiedono spesso altrove, occorrono terapie calibrate
rispetto al giudice civile risiede proprio nella sua maggiore celerità ed efficacia nel risolvere le dispute tra cittadini e poteri pubblici.
Ecco perché vanno invece coerentemente attuate e misurate nei concreti effetti, prima di introdurre nuovi cambiamenti, le tante misure di puntuale riforma della giustizia amministrativa ancora di recente introdotte nel nostro ordinamento, come i riti superaccelerati, il processo telematico, gli obblighi di sinteticità negli atti processuali, il contrasto alle liti temerarie. Se poi ciò non bastasse, si potrebbe pensare a ulteriori e più inno- vative misure, come ad esempio la tipizzazione degli atti politici sottratti al sindacato giurisdizionale, un più rigoroso controllo sui presupposti della legittimazione a ricorrere, la più severa sanzione delle azioni pretestuose, la soluzione alternativa delle controversie tra amministrazioni, la previsione di casi di giudizio in unico grado.
Non bisogna infine dimenticare che le cause di molti problemi che si manifestano davanti ai giudici amministrativi risiedono spesso altrove: nella cattiva qualità delle leggi, nella sempre più scarsa capacità tecnico-giuridica delle amministrazioni, nella cultura «litigiosa» dei nostri concittadini (e della vasta schiera dei loro avvocati).
Sono tutti elementi che aiutano a spiegare, pur in presenza di istituzioni simili, i dati talora diversi registrati dalle statistiche giudiziarie internazionali. La buona amministrazione della giustizia nella sua interezza, d’altra parte, richiede lo sviluppo di giochi cooperativi, senza cedere alla facile tentazione di additare il «cattivo» o il «nemico» di turno: magari per scaricare su altri le proprie responsabilità, per rivendicare inesistenti primati tra toghe, o per difendere spazi di manovra corporativa. Soltanto con diagnosi attente e terapie ben calibrate si possono curare i «mali» dell’Italia, ivi compresi quelli che riguardano il funzionamento della giustizia.