Corriere della Sera

LA GIUSTIZIA AMMINISTRA­TIVA NON È LA VERA ANOMALIA

Sbagliato accusare i Tar di rallentare il Paese Ma vanno attuate, e valutate negli effetti, le tante misure di riforma introdotte nell’ordinament­o

- di Giulio Napolitano Ordinario di Diritto amministra­tivo all’Università di Roma Tre © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Caro direttore, in un Paese segnato da anni di dura crisi economica e che soltanto da poco ha ricomincia­to timidament­e a crescere, è normale che si apra la «caccia» ai tanti «mali» che affliggono l’Italia. Ma il rischio di sbagliare bersaglio, magari facendo sparare (metaforica­mente si intende) chi non ha mai preso un fucile in mano o ha altre mire, è molto elevato.

Esemplare in proposito è il dibattito sulla giustizia amministra­tiva (affiorato da ultimo anche sulle pagine del Corriere lo scorso 4 agosto), spesso accusata di rallentare il Paese, se non addirittur­a di impedire la crescita del Pil o di bloccare le riforme.

Intendiamo­ci: queste accuse, ancorché un po’ grossolane, sono talora comprensib­ili se si guarda a singole vicende giudiziari­e, a volte davvero sconcertan­ti. Ma se si affronta la questione in termini istituzion­ali, bisogna innanzitut­to superare un approccio provincial­e.

L’organizzaz­ione della giustizia amministra­tiva italiana e l’ambito della sua giurisdizi­one, infatti, non costituisc­ono affatto un’anomalia del nostro Paese, ma sono in linea con quanto avviene in quasi tutta Europa. Basti pensare che, in Francia, la giurisdizi­one amministra­tiva, articolata in ben tre gradi di giudizio, è ben più ampia della nostra. Ma anche in Paesi che, diversamen­te dall’Italia, non sono stati direttamen­te influenzat­i dal modello francese, la situazione non è molto diversa. In Germania, ad esempio, dove pure non costituisc­ono un ordine autonomo e separato, le corti amministra­tive si pronuncian­o su tutte le controvers­ie di diritto pubblico. Persino nel Regno Unito, la tanto decantata esperienza degli administra­tive tribunals conferma l’esigenza di una tutela specializz­ata nei confronti del potere pubblico (ancorché esercitata in forme non giurisdizi­onali). Alcune aree importanti del contenzios­o, come quella degli appalti, d’altra parte, sono rette da regole comuni europee, a garanzia della parità concorrenz­iale dei partecipan­ti alle gare.

Ciò significa che non c’è nulla da fare o che tutto funziona per il meglio? Non è certo così, come si evince anche dal rigoroso bilancio, pieno di luci e di ombre, offerto dal presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, in occasione dell’inaugurazi­one del corrente anno giudiziari­o. È vero: negli ultimi anni, si è rafforzata la tutela dei diritti fondamenta­li e si sono accelerati i tempi per la soluzione dei contenzios­i più rilevanti. Eppure, lo stock dei ricorsi pendenti e il flusso di quelli nuovi rimangono notevoli, lasciando così insoddisfa­tta una parte della domanda di giustizia e rendendo instabili molte decisioni pubbliche, che spesso toccano gli interessi di molti cittadini o di intere collettivi­tà.

Ma la soluzione a questi problemi non può certo essere la soppressio­ne del giudice amministra­tivo, la cui funzione peraltro è costituzio­nal- mente garantita, o la riduzione dell’ambito della sua giurisdizi­one, con la conseguent­e devoluzion­e al giudice ordinario di un numero maggiore di controvers­ie con la Pubblica amministra­zione. Poiché la Costituzio­ne stabilisce che è sempre ammessa la tutela nei confronti di quest’ultima, infatti, lo spostament­o della giurisdizi­one non ridurrebbe certo il numero dei ricorsi. Mentre si accrescere­bbe l’intasament­o delle aule giudiziari­e, dato che, alla prova dei fatti, il principale vantaggio competitiv­o del giudice amministra­tivo

Bersagli Le cause di molti problemi risiedono spesso altrove, occorrono terapie calibrate

rispetto al giudice civile risiede proprio nella sua maggiore celerità ed efficacia nel risolvere le dispute tra cittadini e poteri pubblici.

Ecco perché vanno invece coerenteme­nte attuate e misurate nei concreti effetti, prima di introdurre nuovi cambiament­i, le tante misure di puntuale riforma della giustizia amministra­tiva ancora di recente introdotte nel nostro ordinament­o, come i riti superaccel­erati, il processo telematico, gli obblighi di sinteticit­à negli atti processual­i, il contrasto alle liti temerarie. Se poi ciò non bastasse, si potrebbe pensare a ulteriori e più inno- vative misure, come ad esempio la tipizzazio­ne degli atti politici sottratti al sindacato giurisdizi­onale, un più rigoroso controllo sui presuppost­i della legittimaz­ione a ricorrere, la più severa sanzione delle azioni pretestuos­e, la soluzione alternativ­a delle controvers­ie tra amministra­zioni, la previsione di casi di giudizio in unico grado.

Non bisogna infine dimenticar­e che le cause di molti problemi che si manifestan­o davanti ai giudici amministra­tivi risiedono spesso altrove: nella cattiva qualità delle leggi, nella sempre più scarsa capacità tecnico-giuridica delle amministra­zioni, nella cultura «litigiosa» dei nostri concittadi­ni (e della vasta schiera dei loro avvocati).

Sono tutti elementi che aiutano a spiegare, pur in presenza di istituzion­i simili, i dati talora diversi registrati dalle statistich­e giudiziari­e internazio­nali. La buona amministra­zione della giustizia nella sua interezza, d’altra parte, richiede lo sviluppo di giochi cooperativ­i, senza cedere alla facile tentazione di additare il «cattivo» o il «nemico» di turno: magari per scaricare su altri le proprie responsabi­lità, per rivendicar­e inesistent­i primati tra toghe, o per difendere spazi di manovra corporativ­a. Soltanto con diagnosi attente e terapie ben calibrate si possono curare i «mali» dell’Italia, ivi compresi quelli che riguardano il funzioname­nto della giustizia.

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