«Aida» ritorna con Muti
Successo per l’opera in scena a Salisburgo dopo 37 anni Il maestro: è come l’ha scritta Verdi, non un circo equestre
Allestimento minimalista, successo faraonico. Il Festival ha rotto il tabù di Aida, che non si faceva dal 1979, con Karajan, che la riprese nell’80. Il nuovo «intendant» Markus Hinterhäuser ha convinto Riccardo Muti a tornare a dirigere a Salisburgo, dopo sei anni, un’opera in forma scenica. Non ci sono sfingi né piramidi, nessun gigantismo, orpello e tradizione volgare. «Non è il circo equestre, non è un’Aida da cartolina», dice Muti. È nel suo mondo verdiano, eppure quest’opera non la toccava dagli anni 70, mai fatta alla Scala, solo a Vienna, Monaco, Londra e Firenze, e su cd con un cast straordinario, tra cui Placido Domingo, che ieri era in sala con Angela Merkel. Biglietti fino a 450 euro, ma gli Amici del Festival ne hanno pagati 1300 (amici preziosi). Molte le tv che la trasmettono (manca l’Italia), sarà ripresa nel 2018, si farà un dvd.
Aida è Anna Netrebko, che debuttava nel ruolo, diva che non fa la diva: ma lo è (un servizio da tè con la sua firma costa la bellezza di 2399 euro).
La figlia del re sconfitto entra con lunghe treccine e un azzurro abito regale che della schiavitù non ha nulla; col suo carisma, le basta disporre ieraticamente le braccia diritte davanti a sé e le dita della mano aperte, e cannibalizza la scena. Con lei un ottimo cast, Francesco Meli, Ekaterina Semenchuk e Luca Salsi, il baritono più richiesto, averlo come Amonasro è un lusso. Debutto nella lirica per la regista Shirin Neshat, che viene dalla videoarte e infatti cerca di costruire un’immagine in ogni scena, tralasciando il lavoro sui personaggi.
Sul palco c’è un cubo bianco che condiziona non poco, si apre e si scompone, è una sorta di scultura astratta, perché Aida, dice la regista, si può ambientare in ogni epoca e luogo. Nella marcia trionfale le autorità siedono in una tribuna stile parata del 2 giugno, poi il cubo ruota ed ecco i volti degli etiopi vinti, in cui Neshat rivede la sofferenza dei profughi di oggi, forse il momento più emozionante. I simbolismi sono leggeri e potenti, i sacerdoti con le loro lunghe barbe bianche, implacabili davanti al tradimento di Radames, sono cristiani e musulmani, a sottolineare che la chiusura ideologica è di tutte le religioni. Ma c’è anche un richiamo alla condizione delle donne in Medio Oriente, a cui la regista ha dedicato mostre e film.
Tutto è una fotografia simmetrica, giocata sul bianco (nell’antichità dava il senso della morte e del lutto) e nero. Aida si fa opera di notturni, silenzi e tombe. Il balletto si riduce a sei uomini che portano il teschio di buoi della mitologia egizia: così diventano spettri, hanno una forza arcaica. Il cubo diventa il muro della solitudine umana, tra un amore impossibile e le ragioni del potere; sul cubo si proiettano le immagini dei vinti, o le acque appena increspate del Nilo; il cubo è la fatal pietra che seppellisce i due protagonisti, mentre in sala il buio si fa totale.
È uno spettacolo che a tratti diventa un Oratorio, dove Il trionfo è «nudo», affidato alla bellezza espressiva del canto italiano. «Strehler, con cui non riuscii a portare Aida alla Scala perché morì, mi diceva che il trionfo è nella musica», racconta Muti. La regista neofita, iraniana in esilio, dice che Aida è una sopravvissuta come lei. Ha liberato l’opera da ogni orientalismo superficiale e da ogni cliché, e in questo il «matrimonio» con Riccardo Muti è perfetto. Uno spettacolo di veli che adornano gli abiti, e di trasparenze musicali. «È Aida come l’ha scritta Verdi», minimizza il direttore. Alla potente macchina dei Wiener Philharmoniker, che fanno musica ogni sera e la routine può serpeggiare anche tra i migliori, ha fatto un tagliando. È il lavoro della vecchia scuola che scandaglia il rapporto tra parola e suono, e che si prende cura dei dettagli.
Un’Aida riportata alle dimensioni umane, intima, delicata, chiara; la prima aria Celeste di Radames finisce in un pianissimo, e così Amonasro quando si dichiara padre di Aida ma non deve farsi riconoscere re, e dunque niente note lunghe; nell’atto del Nilo, il più poetico, il flauto sull’acqua «è quasi un’anticipazione dell’impressionismo in musica». Le preghiere e il serto trionfale, le lacrime dei vinti e della vendetta, e Amneris che è la vera sconfitta, tutto torna. Poi c’è la severità e l’eleganza del coro viennese che «ha cantato in voce in tutte le prove di scena: altrove non è possibile». Aida accompagnerà l’estate di Muti: alla sua Academy Opera di Ravenna, dal primo al 14 settembre formerà i giovani direttori sul capolavoro di Verdi.