Corriere della Sera

TRE LEZIONI A DIECI ANNI DALLA CRISI

- di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

Esattament­e dieci anni fa iniziava la più grande crisi finanziari­a del dopoguerra. In quell’estate molti prevedevan­o un altro 1929. Lo abbiamo evitato: oggi infatti ci riferiamo a quel decennio come il periodo della «Grande Recessione» non della «Grande Depression­e», come quella degli anni Trenta. Lo abbiamo evitato perché dalla crisi del ’29 avevamo tratto alcune lezioni importanti. Ma anche la crisi dalla quale stiamo lentamente uscendo ci ha insegnato molto.

Cominciamo dalle lezioni del ’29. La prima è che le banche centrali non devono far mancare liquidità all’economia. Diversamen­te dal ’29 questa volta sia la Federal Reserve, sia la Bce (soprattutt­o dopo il 2011) lo hanno fatto senza esitazioni. Il merito di aver evitato un altro ’29 è soprattutt­o loro. La seconda lezione è che i fallimenti bancari vanno evitati per non provocare catastrofi anche peggiori. Negli Usa l’intervento quasi immediato dello Stato nel capitale delle banche fermò la crisi, e alla fine non costò nulla ai contribuen­ti, dato che il governo federale potè rivendere le azioni che aveva acquistato con un guadagno. In Europa, nonostante il ruolo delle banche nel nostro sistema finanziari­o sia più centrale che negli Usa, abbiamo impiegato molto tempo a capire l’importanza di intervenir­e con rapidità e decisione. Chi si è mosso prima, come Irlanda e Spagna, ha pagato costi importanti ma inferiori a chi, come Italia e Portogallo, ha atteso troppo a lungo, con il risultato che molti cittadini hanno perso i loro risparmi in modo inaccettab­ile.

LSEGUE DALLA PRIMA

a terza lezione è che lasciar salire il deficit dello Stato durante la crisi non è un errore. Lo hanno fatto gli Usa, la Francia, perfino la Germania e così hanno accorciato la durata della recessione e attenuato i suoi effetti. Il problema è che molti Paesi, come il nostro, erano entrati nella crisi con debiti pubblici già molto elevati e i mercati temevano un ripudio e l’avvio di una seconda crisi finanziari­a. L’austerità era necessaria per evitare che la crisi riesplodes­se. Certo, se avessimo impiegato gli anni precedenti — in cui la nostra economia era cresciuta in modo tutto sommato decente: + 1,2% l’anno in media fra il 2001 e il 2007 — per ridurre il debito, anziché per aumentare la spesa pubblica, l’austerità avrebbe e potuto essere rimandata a tempi migliori. Così purtroppo non è stato: in Italia, come in Grecia e in Portogallo. Infine, diversamen­te dagli anni Trenta, non siamo caduti (almeno fino ad ora) nella trappola del protezioni­smo anche se qualche scricchiol­io si è avvertito.

È stato tutto perfetto? Certo che no. Innanzitut­to non ci si era resi conto della fragilità finanziari­a che fu la causa principale della crisi. Di questo sono colpevoli un po’ tutti: operatori sui mercati finanziari, banchieri centrali, regolatori, agenzie di rating e molti economisti, che fino al 2007 ritenevano di aver ormai raffinato gli strumenti per far fronte a una crisi e impedire che provocasse una recessione.

La risposta alla crisi messa in atto dall’amministra­zione di Barak Obama sarebbe forse stata più efficace se invece di grandi progetti infrastrut­turali, molti dei quali non hanno mai visto la luce, o la hanno vista troppo lentamente, avesse messo in campo riduzioni di tasse più decise. In Europa l’austerità sarebbe stata molto meno costosa se si fosse concentrat­a sui tagli di spesa, come in Irlanda e Gran Bretagna, anziché su aumenti della pressione fiscale come in Italia, nel biennio 2011-12. Della lentezza di alcuni Paesi, come il nostro, nel capire l’importanza di intervenir­e per stabilizza­re le banche abbiamo già detto. Infine si sarebbe dovuto accettare subito un default della Grecia, anziché prolungare una confusa farsa per anni con l’unico scopo apparente di aiutare le banche tedesche e francesi.

E le lezioni per oggi? Negli anni Trenta l’intuizione di John Maynard Keynes di usare la spesa pubblica per stabilizza­re l’economia fu geniale. A quei tempi però l’incidenza della spesa pubblica (e quindi della tassazione) sul Pil era metà di quella di oggi e lo Stato sociale non esisteva. Questa strada oggi ci è preclusa, se non vogliamo affogare in tasse e debito. L’unica soluzione alla scarsità mondiale di domanda (ammesso e non concesso che ci sia) sono i Paesi un tempo poveri e ora più ricchi (Cina e India in primo luogo) che col tempo risparmier­anno di meno e acqui- steranno quantità maggiori dei nostri prodotti. Altro che bloccare la globalizza­zione, con un nazionalis­mo economico. Scorciatoi­e protezioni­stiche sono impraticab­ili, abbiamo visto cosa è successo negli anni Trenta. Ed e per questo che il nazionalis­mo economico di Trump «Gli interessi americani sopra tutti gli altri» è preoccupan­te. C’è chi negli Stati Uniti parla di stagnazion­e secolare perché la crescita non pare riuscire a salire oltre il 2%, invece dello storico 3% o più. Alcuni economisti affermano di sapere perché: scarsa domanda (pubblica), disuguagli­anze, che riducono i consumi delle famiglie, calo della produttivi­tà, salari che non crescono: la verità è che non sappiamo se davvero vi sia una la stagnazion­e secolare, e se ci fosse da che cosa dipenda. Sarebbe molto piu utile se gli economisti riconosces­sero la difficoltà di capire un periodo anomalo e di grande incertezza invece di pronunciar­e «verità». L’incertezza è l’unico fulcro intorno al quale ruotiamo, e l’incertezza non aiuta a investire e crescere.

L’unica soluzione è diventare via via più produttivi e innovativi, in modo da ridurre i nostri costi e rendere più difficile a Cina e India imitare i nostri prodotti. Con tasse sul lavoro piu basse, maggiore produttivi­tà e soprattutt­o innovazion­e, la domanda cinese ci aiuterà, altrimenti quei Paesi diventeran­no concorrent­i imbattibil­i.

Protezioni­smi No ai protezioni­smi. Serve più competitiv­ità per intercetta­re la domanda di Cina e India

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Sgretolata La prima banca In Europa a crollare per la crisi dei mutui subprime Usa è la britannica Northern Rock: agli inizi di settembre fu colpita da una corsa agli sportelli che la fece collassare in pochi giorni (nella foto Reuters, clienti in coda...

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