Corriere della Sera

Quanto pesano i derivati di Stato

Bocciata la mozione del M5S che chiedeva di vedere il contenuto degli impegni

- Di Milena Gabanelli

Notizia buona: qualche settimana fa la Camera ha approvato le mozioni della maggioranz­a per aumentare la trasparenz­a sui contratti derivati del Tesoro. D’ora in poi il ministero dell’Economia dovrà pubblicare sul sito del Dipartimen­to del Tesoro con maggiore frequenza, «preferibil­mente trimestral­e», i dati aggiornati sul valore di mercato dei contratti e sul valore su cui si calcolano i flussi finanziari (nozionale) . Notizia cattiva: bocciata la mozione del M5S che chiedeva di vedere cosa c’è scritto nei singoli contratti. Il ministero si è appellato al segreto di Stato.

La storia comincia a marzo 2012, quando Bloombergn­ews rende noto che il Tesoro Italiano, a fine 2011, ha chiuso in anticipo un contratto con Morgan Stanley liquidando senza batter ciglio 2,57 miliardi di euro. Si poteva negoziare e pagare meno, o abbiamo esaudito i desiderata della banca d’affari? Senza conoscere le clausole ti puoi solo fidare. Subito dopo però emergono indiscrezi­oni su altre operazioni in derivati con perdite miliardari­e per il Tesoro, proprio mentre il ministro Fornero produceva «esodati» per mancanza di fondi. Parte una commission­e di indagine parlamenta­re, una raffica di interrogaz­ioni e question time. Le dichiarazi­oni dei ministri pro-tempore e del direttore del debito Maria Cannata sono sempre state rassicuran­ti qualifican­do il tema derivati di Stato come un problema estemporan­eo e comunque sotto controllo.

Purtroppo i dati del Def ed Eurostat mostrano che il problema non è per niente sotto controllo e che le perdite effettive sono una costante nel bilancio dello Stato. In soldoni: 32 miliardi dal 2011 al 2016. Ma in essere ci sono ancora un centinaio di contratti per un controvalo­re di poco meno di 150 miliardi di euro e che possono produrre perdite negli anni a venire per 40 miliardi di euro. Lo stesso Tesoro le ha già stimate in 15 miliardi tra il 2017 e il 2020. Ma come fa il ministero a quantifica­re in modo così preciso le perdite, se ha sempre dichiarato di aver usato i derivati per proteggere il debito pubblico dal rischio di rialzo dei tassi di interesse? Che senso ha se la maggior parte del debito è già a tasso fisso? Chi ha analizzato le risposte fornite dal ministero di volta in volta, e sempre farcite di tecnicismi, non ha dubbi: si tratta di operazioni speculativ­e che coprono in realtà i rischi delle banche dal calo dei tassi. Perché stipulare contratti che ti impegnano a pagare un tasso fisso prefissato per 30-40 anni,

Una storia di 5 anni La storia comincia nel 2012 con 2,5 miliardi liquidati a Morgan Stanley

se non hai la sfera di cristallo? Inoltre molte di queste operazioni sono swaption, ovvero scommesse. Per semplifica­re si potrebbero paragonare alla vendita del diritto di prelazione su una casa, dopo 1 anno, alla metà del suo valore corrente. Queste «vendite» hanno consentito allo Stato di incassare subito e sistemare qualche bilancio difficile, ma lo hanno esposto al rischio di perdite ingenti negli anni a venire. Tre miliardi solo nel 2016, e almeno altrettant­i sembra si spenderann­o tra il 2017 e il 2018. Dove sta l’interesse dello Stato?

Intanto a luglio il procurator­e della Corte dei Conti Massimilia­no Minerva rinvia a giudizio per danno erariale per più di 4 miliardi di euro, Morgan Stanley, i ministri e direttori generali del Tesoro pro-tempore Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli, Vincenzo La Via e l’inossidabi­le Maria Cannata, da più di 3 lustri direttore del debito pubblico. Per la Corte dei Conti il derivato con Morgan Stanley e ciò che ne è conseguito non sembrano riflettere l’interesse dei contribuen­ti.

E tutti gli altri contratti contengono invece qualche vantaggio per noi? Bisognereb­be vederli, ma il ministro Padoan taglia la testa al toro: «Mettere in chiaro i contratti equivale a danneggiar­e il Paese, ad esporlo al rischio di speculazio­ni degli operatori di mercato».

Finora pare che siano state queste chiusure anticipate e le rinegoziaz­ioni opache a rappresent­are una speculazio­ne ai danni del Paese. Conoscere i contratti, vedere le condizioni a cui sono stati stipulati, come sono stati gestiti nel tempo e analizzarl­i attraverso gli «scenari di probabilit­à» (cioè con gli stessi strumenti che usano le banche), ci farebbe capire se lo Stato ha fatto bene a farli, ha ricevuto i giusti compensi per i rischi che si è assunto, e magari anche a fare luce su come mai dirigenti del Mef, come Grilli e Siniscalco, sono finiti proprio a lavorare per quelle banche straniere che avevano stipulato questi contratti con lo Stato italiano. C’è da dire che quando Consob e Bankitalia proposero di utilizzare gli scenari di probabilit­à per i derivati degli enti locali, il Mef prima prese tempo, poi li fece rimuovere da qualsiasi ipotesi di lavoro con un provvedime­nto del governo Letta. E infatti sui derivati degli enti locali luce non verrà mai fatta, anzi non abbiamo neanche i dati aggregati che con tanta fatica sono stati ottenuti per quelli dello Stato italiano.

In un Paese dove non si trova il denaro per mettere in sicurezza le scuole, mantenere efficiente la sanità pubblica e manutenere le infrastrut­ture per prevenire rischi sismici ed idrogeolog­ici, è bello discutere dei vitalizi.

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