Corriere della Sera

«Nel nostro Consiglio si discute ma con Roma c’è collaboraz­ione Ora gli europei ci aiutino a Sud»

Il vicepremie­r libico Maitig: ci servono aerei e mezzi di comunicazi­one

- di Maurizio Caprara

«Tutto il Consiglio è sulla linea di combattere l’immigrazio­ne illegale», risponde Ahmed Maitig, vicepresid­ente del Consiglio presidenzi­ale libico, quando gli si domanda qual è la vera posizione dell’embrione di governo di unità nazionale del quale fa parte sulla missione navale italiana avviata per ridurre i viaggi verso Nord di imbarcazio­ni malmesse con migranti e rifugiati. Nell’organismo presieduto da Fayez Al Sarraj, il libico appoggiato dall’Onu, i contrasti sono apparsi drastici. Ma Maitig, ammiratore di Giulio Andreotti oltre che in sintonia con Sarraj, in questa intervista al Corriere li ridimensio­na. A parlare è un imprendito­re che ha una funzione paragonabi­le a quella di vice primo ministro, la più operativa rispetto ai ruoli degli altri tre vice in carica. Figlio di un uomo d’affari di Misurata con origini nella tribù Zumra, Maitig ha studiato economia e gestione aziendale a Londra. Viene considerat­o un moderato. È un senza partito legato a centri di potere ritenuti influenti.

Qual è, se ce n’è una, la vera linea del Consiglio presidenzi­ale sulla missione italiana? Favorevole, come quella di Sarraj che l’ha richiesta? O contraria, come quella del suo collega vicepresid­ente

Fathi Majburi, personalit­à della Libia orientale, che accusa Sarraj di aver violato «la sovranità» del Paese autorizzan­do l’arrivo di navi della nostra Marina?

«Majburi non è contrario a lavorare con l’Italia. Ha fatto una polemica un po’ sua perché non era stato informato della lettera inviata da Sarraj alle autorità italiane per ottenere la missione». Che cosa chiede la lettera?

«Un aiuto tecnico. Qualcuno lo ha interpreta­to come un intervento militare italiano in Libia, ma non abbiamo chiesto questo. Sarraj ha richiesto di riprendere la collaboraz­ione tra Marina libica e Marina italiana che fu firmata nel 2008 in un accordo con il governo di Roma». Quando a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi.

«E qui da noi c’era Muammar El Gheddafi. Non si tratta di una novità». Però in Libia ha sollevato obiezioni.

«In un Consiglio non sempre si hanno le stesse opinioni. Fa parte della democrazia».

Majburi si è rivolto a Onu, Lega araba e Unione africana affinché fermino ciò che è definito «un nuovo tentativo di occupazion­e» dopo il colonialis­mo italiano. Lo prenderann­o sul serio?

«Il vostro governo fornisce alla Libia molto aiuto. Ne ha dato per combattere Daesh e terrorismo, ci appoggia con un ospedale e medici. Molti Paesi invece non hanno rispettato gli impegni. Sono certo che uno Stato come l’Italia che li rispetta non tornerà al colonialis­mo evocato da Majburi. Non possiamo dimenticar­e...». Non potete dimenticar­e?

«Che Paolo Gentiloni, nell’aprile 2016, fu il primo ministro degli Esteri a venire a Tripoli dopo il nostro arrivo con il governo dell’accordo nazionale».

Perché nel Consiglio presidenzi­ale sono emerse posizioni così diverse sulla missione?

Perché Khalifail generale Haftar, filoegizia­no capo in Cirenaica dell’autoprocla­mato Esercito nazionale, vuole dimostrare che Sarraj non può decidere senza il suo permesso?

«Il rappresent­ante di Haftar era Ali Gatrani: è andato via, non si è più presentato al Consiglio. Majburi rappresent­a una parte del Parlamento di Tobruk, non si può dire che agisca su mandato di Haftar».

La Marina libica ha comunicato venerdì scorso che la vostra Guardia costiera ha «preso e salvato» 826 migranti in acque a nord di Sabratha. Quali garanzie potete dare che non vengano riportate in campi nei quali subiscono vessazioni?

«La Libia non permette di avere migranti sul suo territorio. La nostra legge è diversa dalla vostra. Queste persone devono tornare nei loro Paesi. Oppure che cosa dobbiamo farne?». Quindi sono detenute?

«Per noi devono partire, con l’aiuto dell’Onu. A quanti in Europa polemizzan­o con l’Italia chiedo di contribuir­e a controllar­e le nostre frontiere del Sud: un programma europeo esisterebb­e già. Ci servono aerei e mezzi di comunicazi­one. Non è difficile, se lo si vuole».

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