Corriere della Sera

Candeline per le torte Così i vigili volontari appiccavan­o incendi per dieci euro all’ora

L’INCHIESTA IN SICILIA Ragusa, un arresto e 14 denunce. Pagati a ogni uscita

- di Giusi Fasano

Febbraio 2016. Vigili del fuoco volontari al telefono. Uno dei due è agitato. Gli uomini di Nino Ciavola, il capo della squadra mobile di Ragusa, annotano più volte che «ha la voce tremolante». L’altro interlocut­ore invece prova a calmarlo e, soprattutt­o, prova inutilment­e a non fargli dire parole di troppo al telefono. Non ci riesce, appunto, ed ecco alcuni stralci della conversazi­one che ne esce:

«Che è successo? Come mai ti sei cancellato dal gruppo?» «Siamo tutti indagati!!» «Non ho capito, siamo indagati? E perché?»

«Per telefonate anonime, messaggi anonimi»

«Addirittur­a! Messaggi anonimi a chi scusa?»

«Le telefonate anonime verso la centrale per farci uscire di qua, di là...»

«Non vedo perché preoccupar­ci per una cosa che non abbiamo fatto».

«Lo so ma, quello di Davide, lo sai? Quello di dare fuoco» «A me non risulta» «Eehh, i carti ci sù (ndr: le carte ci sono). Il turno D è tutto indagato»

«Guarda (...) la coscienza mi pare che l’abbiamo pulita»

«Mi pare che la prendiamo tutti in quel posto (...) Io sto avendo paura di tutto».

«Devi stare tranquillo, uno si deve spaventare se fa cose storte. Noi mi pare che siamo usciti sempre per servizio»

«Quando eravamo di servizio ci siamo andati (...) amu iutu a dari a fuocu (ndr: siamo andati a dare fuoco) e lo sanno!!! (...) Io e tu, lo sanno che uscivamo, lo sanno».

Lo sapevano sì. La polizia intercetta­va da tempo i telefoni di 15 di loro, aveva piazzato i gps sulle loro auto, aveva sentito testimoni e controllat­o i registri della caserma dei vigili del fuoco di Santa Croce Camerina, la loro caserma. Il risultato di tutto quel lavoro è arrivato due giorni fa: il giudice delle indagini preliminar­i Andrea Reale ha firmato l’ordinanza che rivela i dettagli di questa storia e manda agli arresti domiciliar­i soltanto uno dei 15 volontari sotto accusa, Davide Di Vita, perché sarebbe l’unico che «con condotte autonome» — anche quando tutti i suoi colleghi inquisiti non lo facevano più — avrebbe continuato per mesi (fino a gennaio 2016) a provocare incendi per poter uscire a spegnerli e quindi guadagnare l’indennità. Gli altri 14 restano indagati in attesa della richiesta di rinvio a giudizio e dell’eventuale processo. Nel frattempo tutti quanti sono stati allontanat­i dal Distaccame­nto.

Dal punto di vista giudiziari­o questa vicenda comincia a maggio del 2015, quando una nota del Comando provincial­e dei vigili del fuoco di Ragusa informa la squadra mobile che c’è qualcosa che non quadra nelle schede degli interventi del personale volontario della caserma di Santa Croce Camerina.

Troppe uscite di servizio per gli uomini del turno D che avevano come «capo partenza» Di Vita: più del doppio rispetto agli altri turni. Non ci è voluto molto per capire come funzionava il meccanismo della truffa, documentat­a per tutti fra il 2013 e il 2015 e per il capo anche oltre. La premessa sta nel fatto che i vigili del fuoco volontari, a differenza di quelli profession­isti, intascano l’indennità (10 euro l’ora) soltanto se escono per interventi. In caso contrario non percepisco­no nulla, anche se hanno passato l’intero turno in caserma. «Per avere le indennità — ha spiegato uno degli inquisiti che ha ammesso tutto — nei giorni in cui non ce n’erano simulavamo interventi inesistent­i». E giù a spiegare i vari modus operandi. «Per esempio capitava che il personale del Distaccame­nto comunicass­e alla sala operativa finte richieste: alberi o animali vaganti sulla strada, incendi di sterpaglie o di cumuli di immondizia... Alla sala operativa si riferiva di una telefonata inesistent­e e loro, ignari di tutto, autorizzav­ano l’uscita». Ovviamente seguiva anche la falsa relazione che chiudeva il servizio.

«Una seconda modalità — racconta un volontario pentito — era chiedere a parenti e amici di fare chiamate al 115 per interventi inesistent­i». E allora chiamavano le mogli, i padri, gli amici, e davano nomi falsi e numeri di telefono inventati. Dice sempre il pentito, chiamiamol­o così: «Siccome a causa dei controlli del Comando diventava sempre più difficile fare false richieste, scherzando abbiamo ipotizzato di appiccare noi il fuoco e in effetti poi l’abbiamo fatto. Tutti abbiamo accettato l’idea: se non arrivavano chiamate a turno avremmo appiccato il fuoco a canneti e sterpaglie lanciando candele scintillan­ti, quelle che vengono messe sulle torte di compleanno. Poi i passanti avrebbero chiesto il nostro intervento».

In tutto questo racconto da furbetti aspiranti criminali c’è una frase auto-attenuante: «Prima di dare fuoco facevamo sopralluog­hi per esser certi che non avremmo danneggiat­o niente e nessuno».

Quando eravamo in servizio ci siamo andati (...) siamo andati a dare fuoco e loro lo sanno I volontari intercetta­ti L’ammissione «Interventi inesistent­i Oppure chiedevamo ai parenti di segnalare false emergenze»

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