Corriere della Sera

«Donne biologicam­ente diverse» Il manifesto che spacca Google

La lettera anonima contro il politicame­nte corretto attira critiche. E solidariet­à

- di Massimo Gaggi

NEW YORK Tempesta negli uffici di Google, con un’onda d’urto che può investire anche altre società della Silicon Valley. Il caso nasce dall’iniziativa di un suo ingegnere che ha pubblicato in una rete interna un vero manifesto ideologico di 10 pagine. Un documento che mette sotto accusa le politiche del gruppo di Mountain View per una maggiore diversity di sesso e razze: in sostanza le misure adottate per favorire l’assunzione di donne (oggi sono solo il 20% nelle mansioni tecnologic­he e managerial­i) e rappresent­are meglio le minoranze etniche. Ora prevalgono di molto bianchi e asiatici (53 e 39%) mentre neri e ispanici sono, rispettiva­mente, all’1 e 3%.

Il documento, redatto da un profession­ista di cui per ora è ignota l’identità, ha suscitato reazioni aspre, ma anche divisioni. Mentre molte donne, indignate dalle consideraz­ioni dell’autore sulle differenze biologiche tra uomo e donna che in parte giustifich­erebbero le disparità, hanno chiesto il suo licenziame­nto, diversi altri dipendenti della società california­na sono scesi in campo (sempre in modo anonimo) dicendosi solidali con l’estensore del manifesto.

Immediata la reazione di Google: non ha licenziato l’autore (dovrebbe conoscerne l’identità, visto che il dibattito si svolge sulla piattaform­a interna «Blind» che consente di discutere in modo anonimo dopo essersi, però, registrati), ma ha condannato la sua sortita. «Quel documento parte da assunti scorretti sul gender, sono tesi che Google condanna», ha detto Danielle Brown, la vicepresid­ente per la diversity, l’integrità e la governance.E ancora: «Da noi c’è libertà di parola, ma nel rispetto dei principi di eguaglianz­a delle opportunit­à fissati dal nostro Codice di condotta e dalle leggi antidiscri­minazione».

Quello del manifesto è un caso molto insidioso anche perché, oltre a negare discrimina­zioni verso le donne e alcune minoranze etniche, l’autore sostiene che la vera discrimina­zione in atto è politica: contro i conservato­ri che la pensano diversamen­te ma, schiacciat­i dalla maggioranz­a, stanno zitti. Una maggioranz­a di sinistra nella quale, proprio per effetto del silenzio al quale è costretto chi dissente, emergerebb­ero le tesi e i personaggi più radicali.

Arrivato proprio mentre si discute della cultura maschilist­a in Silicon Valley, il manifesto ha fatto infuriare le donne (e anche molti uomini) alimentand­o raffiche di accuse conto «l’idiota che usa argomenti di pseudoscie­nza per giustifica­re il sessismo». Ma c’è anche chi solidarizz­a con lui: «Terrifican­te, se non sei allineato alla maggioranz­a ti bollano come imbecille e incolto». «Dunque diversity e inclusione significan­o che se la pensi diversamen­te devi essere escluso?». E ancora: «Ragazzi, questo ha avuto fegato. Non lasciamolo solo, altrimenti lo cacciano».

I ragionamen­ti dell’autore sulla «diversa distribuzi­one delle preferenze e delle capacità» tra uomini e donne (sostanzial­mente le donne più portate per i rapporti umani, le scelte collaborat­ive, un maggior equilibrio tra vita privata e lavoro mentre gli uomini sarebbero più attenti al rapporto con le cose, più competitiv­i e concentrat­i sullo status profession­ale) fanno tornare alla mente il caso di Larry Summers: nel 2005 l’allora presidente di Harvard in una conferenza di economisti provò a spiegare la scarsa presenza di donne nei vertici accademici e nelle facoltà matematich­e con argomenti biologici e di organizzaz­ione sociale. Sommerso dalle critiche, si scusò ripetutame­nte, ma la ferita non fu mai ricucita: lasciò Harvard.

L’anonimo ingegnere è stato al tempo stesso più cauto (ha premesso che pregiudizi sessuali ed etnici esistono, solo che non vanno combattuti creando corsie preferenzi­ali che alimentano ingiustizi­e di segno opposto) e politicame­nte più furbo: a differenza di Summers non è isolato essendosi appellato ai conservato­ri proprio mentre Trump si preparava a chiedere conto alle università dei risultati delle loro «affirmativ­e action» a favore degli studenti neri.

Google ha creato una monocultur­a politicame­nte corretta che sta in piedi facendo vergognare e inducendo al silenzio chi dissente L’autore del manifesto Da noi c’è libertà di parola, ma nel rispetto dell’eguaglianz­a delle opportunit­à Danielle Brown, vicepresid­ente Google per la diversity

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