Corriere della Sera

Regine e baraccopol­i Nel Kenya blindato dove le città fanno paura

Oggi le presidenzi­ali. I timori delle violenze etniche

- Di Michele Farina

In Kenya si vota e la Regina di Kibera ha preparato la carriola ambulanza, con tanto di lumino e di sirena. Anche nei vicoli della più grande baraccopol­i di Nairobi si temono violenze post elettorali. «Tanta gente ha mandato via la famiglia fuori città, dai parenti nelle campagne, chi è rimasto ha investito i pochi soldi in provviste e generi di prima necessità», come se si trattasse di un assedio.

La chiamano Queen, Queen e basta. Una sessantenn­e testarda con il sorriso contagioso. È stata lei a dare il via a questo centro di salute una ventina di anni fa, fondato e gestito dalla Ong Amref. Anche la sanità è rimasta paralizzat­a dalla paura che si ripeta l’incubo del 2007, quando 160 mila persone rimasero uccise negli scontri a sfondo etnico seguiti al contestato esito elettorale. La maggioranz­a dei morti si ebbe nella Rift Valley. Ma a Nairobi uno degli epicentri fu proprio Kibera, tetti di lamiera e fogne a cielo aperto. Così Queen e il centro Amref, come gli ospedali di Msf, si sono preparati a trasformar­si in aree di pronto soccorso. Mentre i pazienti in cura per Aids e tubercolos­i hanno ricevuto scorte di medicinali. Il Kenya vota, e tanta gente è scappata. Non sono elezioni scontate come il plebiscito di qualche giorno fa in Ruanda o la sceneggiat­a che andrà in scena in Angola tra due settimane.

Al sicuro in campagna

I sondaggi puntano a un testa a testa fra il presidente uscente Uhuru Kenyatta e l’eterno sfidante Raila Odinga. L’incertezza ha bloccato persino l’economia, gli investimen­ti dall’estero. Accelerand­o soltanto la fuga.

Le stazioni degli autobus hanno raddoppiat­o le partenze verso le zone rurali. E gli autisti si sono trasformat­i in strani controllor­i: «Chiediamo la scheda elettorale dei viaggiator­i, e se vediamo che dovrebbero votare qui nella capitale chiediamo loro di aspettare e partire dopo», racconta Chelule Julius al quotidiano The Nation. Figurarsi: migliaia di persone sono partite proprio per evitare il rischio di restare intrappola­te! Anche nelle famiglie «miste» si è posto il dilemma sicurezza. Manuel Mikewa e sua moglie Elizabeth Njeri, lui di etnia Luo (come Odinga) e lei Kikuyu (come Kenyatta che si ricandida per un secondo mandato) hanno raccontato il loro piano alla Bbc. Siccome vivono a Muthiga, una zona di Nairobi dove i Kikuyu sono in maggioranz­a, l’ipotesi di restare a casa è stata scartata. Paura dei panga, i machete in mano a sostenitor­i sconfitti, e paura delle armi da fuoco delle forze dell’ordine (in 180 mila pattuglier­anno le strade). Così i Mikewa voteranno nel loro quartiere, per poi trasferirs­i con i due bambini dalla madre di lei a Kileleshwa, un quartiere più tranquillo.

Sfida ad alta tensione

I contendent­i predicano la calma. In fondo anche la sfida di quattro anni fa si concluse con lo sconfitto (il 72enne Odinga) che accusò il rivale di brogli. Ma la vicenda si concluse non a colpi di panga ma davanti alla Corte Suprema, che diede ragione a Kenyatta, figlio del primo leader post coloniale. Questa volta la posta in gioco è più alta. Per il capo dell’opposizion­e è l’ultima chance, perché la Costituzio­ne gli impedirà una rivincita per raggiunti limiti di età (ai comizi è arrivato a chiedere alle sue elettrici «lo sciopero del sesso» se i loro uomini non voteranno la lista «giusta»). Per chi vuole la riconferma, Kenyatta e il suo vice William Ruto, perdere vorrebbe dire (per il primo) mettere a rischio il sistema di potere e di affari gestito dalla sua famiglia, (per il secondo) dire addio alla candidatur­a in proprio nel 2022.

Kenyatta ama definirsi «presidente digitale», e chiama il rivale «candidato analogico». Il Kenya viene talvolta dipinto come l’hub hi-tech dell’Africa orientale. Tutto o quasi si paga con un tasto di telefonino. E al digitale è affidato

Chi è rimasto in città ha investito i pochi soldi in provviste e generi di prima necessità Ultima corsa Per l’eterno rivale, il capo dell’opposizion­e Odinga, è l’ultima corsa, per limiti di età

anche l’esito di queste elezioni in bilico. Si voterà con un clic, grazie a un sistema biometrico che dovrebbe impedire i brogli e assicurare trasparenz­a. Tutti i risultati dovrebbero convergere in via telematica alla centrale della Commission­e Elettorale Indipenden­te a Nairobi, trasformat­a in una sorta di fortezza difesa da centinaia di uomini armati.

La fortezza non è bastata per mantenere in vita il responsabi­le del sistema di voto computeriz­zato. Chris Msando è stato trovato morto in una foresta ai margini di Nairobi il 31 luglio. Il suo corpo presentava segni di tortura. È stato strangolat­o.

Stessa sorte è toccata a una donna di 21 anni ritrovata accanto al suo cadavere. Per molti osservator­i (e anche per il settimanal­e The Economist) l’omicidio di Msando rappresent­a un segnale. Un avvertimen­to per tutti coloro che lavorano nel sistema, maturato in ambienti governativ­i. Magari non servirà, ma la Regina di Kibera farà bene a tenere pronta la sua carriola ambulanza.

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Nello slum Un bimbo davanti all’ingresso di un seggio tappezzato di poster elettorali nello slum di Kibera, la più grande baraccopol­i di Nairobi (Reuters /Thomas Mukoya)
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Ai seggi Keniani controllan­o le liste elettorali (Ap); più in alto agenti davanti a un seggio di Nairobi (Afp)

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