Regine e baraccopoli Nel Kenya blindato dove le città fanno paura
Oggi le presidenziali. I timori delle violenze etniche
In Kenya si vota e la Regina di Kibera ha preparato la carriola ambulanza, con tanto di lumino e di sirena. Anche nei vicoli della più grande baraccopoli di Nairobi si temono violenze post elettorali. «Tanta gente ha mandato via la famiglia fuori città, dai parenti nelle campagne, chi è rimasto ha investito i pochi soldi in provviste e generi di prima necessità», come se si trattasse di un assedio.
La chiamano Queen, Queen e basta. Una sessantenne testarda con il sorriso contagioso. È stata lei a dare il via a questo centro di salute una ventina di anni fa, fondato e gestito dalla Ong Amref. Anche la sanità è rimasta paralizzata dalla paura che si ripeta l’incubo del 2007, quando 160 mila persone rimasero uccise negli scontri a sfondo etnico seguiti al contestato esito elettorale. La maggioranza dei morti si ebbe nella Rift Valley. Ma a Nairobi uno degli epicentri fu proprio Kibera, tetti di lamiera e fogne a cielo aperto. Così Queen e il centro Amref, come gli ospedali di Msf, si sono preparati a trasformarsi in aree di pronto soccorso. Mentre i pazienti in cura per Aids e tubercolosi hanno ricevuto scorte di medicinali. Il Kenya vota, e tanta gente è scappata. Non sono elezioni scontate come il plebiscito di qualche giorno fa in Ruanda o la sceneggiata che andrà in scena in Angola tra due settimane.
Al sicuro in campagna
I sondaggi puntano a un testa a testa fra il presidente uscente Uhuru Kenyatta e l’eterno sfidante Raila Odinga. L’incertezza ha bloccato persino l’economia, gli investimenti dall’estero. Accelerando soltanto la fuga.
Le stazioni degli autobus hanno raddoppiato le partenze verso le zone rurali. E gli autisti si sono trasformati in strani controllori: «Chiediamo la scheda elettorale dei viaggiatori, e se vediamo che dovrebbero votare qui nella capitale chiediamo loro di aspettare e partire dopo», racconta Chelule Julius al quotidiano The Nation. Figurarsi: migliaia di persone sono partite proprio per evitare il rischio di restare intrappolate! Anche nelle famiglie «miste» si è posto il dilemma sicurezza. Manuel Mikewa e sua moglie Elizabeth Njeri, lui di etnia Luo (come Odinga) e lei Kikuyu (come Kenyatta che si ricandida per un secondo mandato) hanno raccontato il loro piano alla Bbc. Siccome vivono a Muthiga, una zona di Nairobi dove i Kikuyu sono in maggioranza, l’ipotesi di restare a casa è stata scartata. Paura dei panga, i machete in mano a sostenitori sconfitti, e paura delle armi da fuoco delle forze dell’ordine (in 180 mila pattuglieranno le strade). Così i Mikewa voteranno nel loro quartiere, per poi trasferirsi con i due bambini dalla madre di lei a Kileleshwa, un quartiere più tranquillo.
Sfida ad alta tensione
I contendenti predicano la calma. In fondo anche la sfida di quattro anni fa si concluse con lo sconfitto (il 72enne Odinga) che accusò il rivale di brogli. Ma la vicenda si concluse non a colpi di panga ma davanti alla Corte Suprema, che diede ragione a Kenyatta, figlio del primo leader post coloniale. Questa volta la posta in gioco è più alta. Per il capo dell’opposizione è l’ultima chance, perché la Costituzione gli impedirà una rivincita per raggiunti limiti di età (ai comizi è arrivato a chiedere alle sue elettrici «lo sciopero del sesso» se i loro uomini non voteranno la lista «giusta»). Per chi vuole la riconferma, Kenyatta e il suo vice William Ruto, perdere vorrebbe dire (per il primo) mettere a rischio il sistema di potere e di affari gestito dalla sua famiglia, (per il secondo) dire addio alla candidatura in proprio nel 2022.
Kenyatta ama definirsi «presidente digitale», e chiama il rivale «candidato analogico». Il Kenya viene talvolta dipinto come l’hub hi-tech dell’Africa orientale. Tutto o quasi si paga con un tasto di telefonino. E al digitale è affidato
Chi è rimasto in città ha investito i pochi soldi in provviste e generi di prima necessità Ultima corsa Per l’eterno rivale, il capo dell’opposizione Odinga, è l’ultima corsa, per limiti di età
anche l’esito di queste elezioni in bilico. Si voterà con un clic, grazie a un sistema biometrico che dovrebbe impedire i brogli e assicurare trasparenza. Tutti i risultati dovrebbero convergere in via telematica alla centrale della Commissione Elettorale Indipendente a Nairobi, trasformata in una sorta di fortezza difesa da centinaia di uomini armati.
La fortezza non è bastata per mantenere in vita il responsabile del sistema di voto computerizzato. Chris Msando è stato trovato morto in una foresta ai margini di Nairobi il 31 luglio. Il suo corpo presentava segni di tortura. È stato strangolato.
Stessa sorte è toccata a una donna di 21 anni ritrovata accanto al suo cadavere. Per molti osservatori (e anche per il settimanale The Economist) l’omicidio di Msando rappresenta un segnale. Un avvertimento per tutti coloro che lavorano nel sistema, maturato in ambienti governativi. Magari non servirà, ma la Regina di Kibera farà bene a tenere pronta la sua carriola ambulanza.