IL DISEGNO MIOPE SUL VOTO DEI QUATTRO LEADER POLITICI
Senza il maggioritario solo il premio alla coalizione potrà dare una stabile maggioranza. Una soluzione semplice, ma rifiutata dai maggiori partiti
A l di là degli slogan elettorali che tutti i leader di partito vanno già proclamando, è oramai diffusa la convinzione che se si andrà a votare con le leggi uscite dalla Consulta le elezioni non produrranno alcuna maggioranza di governo. Non basterà certo a produrla la pur necessaria armonizzazione delle soglie di sbarramento e l’altrettanto necessaria modifica del numero di circoscrizioni e collegi. In mancanza di una legge elettorale maggioritaria, la sola misura che potrebbe dar vita a una stabile maggioranza di governo sarebbe l’estendere alla coalizione vincente il premio ora previsto per la lista che superi il 40% dei suffragi.
Questa semplice soluzione è però rifiutata dai maggiori partiti per l’identico motivo che, pur essendo nell’interesse del Paese, non conviene ai rispettivi leader. La teoria delle coalizioni indica, infatti, che in un accordo coalizionale è determinante non il soggetto più forte ma quello — anche se marginale — che apporti il peso decisivo per rendere la coalizione vincente. In altre parole, è improbabile che sia Renzi che Berlusconi o Salvini verrebbero indicati quali capi della coalizione. Quanto a Grillo — dato che il M5S non ha per sua scelta alcun potenziale di coalizione (o lo ha solo, dopo le elezioni con la Lega, in chiave antieuropea) — non ha alcun interesse a favorire il formarsi di coalizioni rivali che potrebbero superare il risultato dei pentastellati.
È dunque probabile che non avremo il premio alla coalizione; ma se non lo avremo non avremo un governo. In tal caso, è giusto che gli italiani sappiano prima del voto chi ne sarà responsabile: i quattro leader che antepongono all’interesse generale il loro interesse particolare. Il disegno dei quattro leader è anche estremamente miope. Con la possibile eccezione di Berlusconi — tutt’ora impedito dalla legge Severino ad assumere ruoli istituzionali — Renzi, Grillo e Salvini si illudono che l’incarico di formare il governo sia necessariamente conferito al leader del partito che abbia ottenuto più voti. Il capo dello Stato, infatti, non è vincolato a conferire l’incarico di formare il governo al leader del maggiore partito, ma piuttosto a ricercare quale partito e quale leader abbiano maggiori possibilità di dar vita a una stabile maggioranza di governo. Nella storia repubblicana i precedenti vanno tutti in questa direzione, con un ampio ricorso
Accordo Non tutto è perduto: sta ai nostri «Signori della guerra» firmare una tregua per il Paese
a incarichi esplorativi quando la situazione lo richieda. Pertanto, chiunque ottenga il miglior risultato elettorale — sia questo il Pd o il M5S o una lista di centrodestra — né Renzi, né Berlusconi, né Salvini possono essere certi di ottenere l’incarico se non siano al tempo stesso portatori di una sicura maggioranza parlamentare. L’esempio del Belgio, e più ancora della Spagna, confermano che se le elezioni non producono una sicura maggioranza di governo si dà vita a governi di minoranza, o restano in carica i governi esistenti (e in mancanza di maggioranze certe un reincarico a Gentiloni non sarebbe da escludere, e persino auspicabile). Se questa dovesse essere la situazione dopo il voto, il problema diventa come stabilizzare un governo di minoranza o una maggioranza disomogenea. Una prima soluzione sarebbe l’adozione della «sfiducia costruttiva», istituto su cui poggia da decenni la stabilità delle eterogenee maggioranze di governo tedesche: Cdu e Liberali; Spd e Verdi; Cdu, Csu e Spd. L’adozione della sfiducia costruttiva richiederebbe una semplice riforma costituzionale di un solo articolo. Se ve ne fosse la volontà politica potrebbe essere attuata prima delle elezioni in 4-5 mesi, dando in extremis un senso a questa legislatura inizialmente qualificata improvvidamente come costituente. Come già detto, con le attuali leggi una maggioranza di governo potrà formarsi solo con l’adozione di un premio alla coalizione vincente. In tal caso, è però assai probabile che la coalizione sia fortemente disomogenea: per stabilizzarla, una soluzione alternativa alla sfiducia costruttiva potrebbe essere adottata a livello di legge elettorale, senza necessità di modifiche costituzionali, prevedendo che i parlamentari delle varie componenti della coalizione eletti grazie al premio di maggioranza decadano con il venir meno della coalizione, venendo sostituiti dai migliori perdenti nelle rispettive liste o collegi. Oltre a stabilizzare la coalizione, l’incentivo a impedire manovre trasformistiche di singoli parlamentari e di piccoli gruppi sarebbe molto forte. In conclusione, non tutto è perduto. Anche conservandone l’impianto proporzionale, la possibilità di modificare le attuali leggi elettorali per assicurare la formazione di un governo di coalizione e stabilizzare una maggioranza disomogenea esiste. Sta ai nostri quattro «Signori della guerra» firmare una tregua nell’interesse del Paese. È auspicabile che sia proprio sulla loro disponibilità a ricercare un accordo sulla legge elettorale che i cittadini li giudichino e se necessario li puniscano.