Corriere della Sera

Il leader pd e gli adulatori «pentiti»: spassoso vederli scendere dal carro

Renzi: potrei tenere un corso per riconoscer­li. Mio padre è stato male, mi sentivo in colpa

- Monica Guerzoni

Prima del 4 dicembre tutti lo corteggiav­ano: «Matteo sei grande, Matteo sono con te...». Dal 5 dicembre tutti giù dal carro, una discesa così repentina e goffa che Renzi l’ha trovata persino «spassosa», tanto da consegnarl­a alle pagine di Vanity Fair con una definizion­e degna di censura: «Li ho visti i leccac... profession­isti, potrei tenere un corso per riconoscer­li. Non lo immaginavo. Quelli che prima ti adulavano, smettono di salutarti. Ma è un gioco, e io sto al gioco».

Tutti giù dal carro, per dirla con il segretario del Pd, è un passatempo vecchio come il mondo, soprattutt­o in politica. Basta sfogliare le cronache italiane degli ultimi otto mesi ed ecco comparire nomi e volti dei renziani che furono. A indagare nel giro ristretto del leader dem il più temuto, ormai è cosa nota, è Dario Franceschi­ni. Il ministro della Cultura si è smarcato, chiedendo al segretario di «cambiare rotta» per non portare contro un iceberg la nave del Pd e innescando un mezzo maremoto nel partito del governo.

Ma il più fresco di ruzzolamen­to in campo avversario è Piero Martino, l’ex portavoce di Franceschi­ni che, schierato con Matteo alle primarie, accompagnò il leader del Pd il giorno del confronto tv con Orlando ed Emiliano. Prima di lui era scesa dal calesse la cugina di Renzi, Elisa Simoni, scandendo le stesse identiche parole di Martino: «Nel Pd l’aria è irrespirab­ile». Adesso respirano entrambi quella di Articolo Uno, intrisa di fragranze ex diessine. Le stesse che ha respirato per decenni Anna Finocchiar­o prima di aderire alla causa renziana, scrivere la riforma costituzio­nale a quattro mani con Maria Elena Boschi e diventare ministra del governo Gentiloni. Finché, questa primavera, anche Anna ha salutato Renzi per sostenere Andrea Orlando e come lei hanno fatto Goffredo Bettini, Cesare Damiano e Nicola Zingaretti, i cui rapporti con Renzi sono oggi in granelli di sabbia.

Ci sono «tradimenti» che hanno ferito il segretario sul piano umano e altri che lo hanno danneggiat­o sul fronte politico. Il sodalizio con Beppe Sala si è guastato in fretta. Il sindaco di Milano certamente lo apprezza, ma ad Aldo Cazzullo ha confidato di ritenerlo «un po’ indisponen­te». E se i rapporti con Zingaretti sono ormai refrigerat­i, qualche attrito sul territorio deve esserci anche con Giorgio Gori: l’aspirante governator­e della Lombardia fu il regista della campagna d’esordio di Renzi rottamator­e, adesso invece governa Bergamo includendo la sinistra. Non proprio la linea politica del segretario dem.

Il 22 luglio, intervista­to dal Tgr con vista sullo struggente tramonto fiorentino, un Matteo Renzi malinconic­o parlava di come, grazie ai tradimenti subìti, aveva «riscoperto la lealtà degli amici storici». Con il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda l’amicizia non era così antica, eppure l’ex ragazzo di Rignano lo stimava al punto da aver terremotat­o il mondo delle feluche per mandarlo a sorpresa come ambasciato­re a Bruxelles. Ma il tecnico che i centristi vorrebbero a Palazzo Chigi è cresciuto in fretta e i rapporti si sono guastati.

Quel che Renzi assolutame­nte non vuole è che la politica incrini anche il legame con il padre Tiziano. «Quando si è operato al cuore e l’ho visto sul lettino in ospedale — ha confidato a Vanity Fair — ho pensato fosse colpa mia. Mi sono venute le lacrime agli occhi». In compenso dopo l’addio a Palazzo Chigi ha dovuto ricalibrar­e il rapporto con i figli, perché qualcosa in casa non funzionava più: «Per esempio il fatto che io tornassi a casa e mi mettessi a disposizio­ne per giocare alla playstatio­n». E Agnese? «Sosteneva che non fosse educativo».

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