LA «CONQUISTA» DEL SUD E IL VITTIMISMO DANNOSO
Dopo l’istituzione da parte della Regione Puglia di una «giornata della memoria» per i morti civili negli anni della repressione del brigantaggio
S ta facendo discutere la mozione approvata dal Consiglio regionale della Puglia in cui si chiede l’istituzione di una «giornata della memoria» per ricordare l’uccisione di civili di cui si rese responsabile l’esercito italiano negli anni della repressione del brigantaggio (ne ha scritto Alessandro Laterza sul Corriere del 6 agosto). Se fosse ispirata solo dalla volontà di richiamare l’attenzione su un aspetto drammatico della nascita dello Stato italiano, la mozione potrebbe avere anche un fondamento. Ciò che la rende assurda è però l’intenzione filoborbonica, evidenziata
Tesi C’è la ripresa di un’idea secondo cui per il Sud il Risorgimento fu soltanto una conquista militare
dalla scelta della data: il 13 febbraio perché in quel giorno del 1861 si arrese Gaeta, ultimo bastione dell’ex re delle Due Sicilie.
In realtà, dietro l’iniziativa dei consiglieri regionali pugliesi si intravvede la ripresa di un’idea che ha attraversato l’intera nostra storia unitaria: quella secondo la quale per il Sud il Risorgimento consistette in null’ altro che in una conquista militare, seguita da un assoggettamento politico e da uno sfruttamento economico di tipo coloniale. I mali del Mezzogiorno risalirebbero appunto a questo dato originario e avrebbero un solo colpevole: i «conquistatori» piemontesi e in generale il resto del Paese. È una tesi infondata fin dalla sua premessa che vede un Meridione il cui promettente sviluppo economico sarebbe stato bloccato dalla brutale conquista settentrionale. Osservò proprio uno storico nato nel Mezzogiorno, Luciano Cafagna, che al momento dell’unificazione il Piemonte e la Lombardia avevano tassi di analfabetismo poco oltre il 40 per cento, mentre tutte le regioni del Sud si attestavano su livelli extraeuropei, fra l’80 e il 90 per cento. E uno dei maggiori storici italiani del secolo scorso, il siciliano Rosario Romeo, pur non negando affatto i caratteri di imposizione autoritaria che l’unificazione ebbe per un’ampia parte della società meridionale, aggiungeva però che si trattava di un esito storicamente positivo se si voleva evitare che il Mezzogiorno scivolasse nell’area del sottosviluppo mediterraneo.
Ma una volta richiamata la poca fondatezza delle tesi di questo meridionalismo antirisorgimentale, ci si deve pur interrogare sulle ragioni per le quali esse sembrano aver ottenuto in questi ultimi tempi una nuova e ampia diffusione. Una diffusione testimoniata dal gran successo di libri come «Terroni» del giornalista Pino Aprile ma anche, appunto, da iniziative politiche locali come quella pugliese o come l’analoga mozione approvata mesi fa dal Consiglio regionale della Basilicata (mentre mozioni del genere sono state presentate in quasi tutte le altre regioni meridionali).
Probabilmente a determinare il successo attuale di queste posizioni sta il fatto che esse sono del tutto in sintonia con quella propensione dietrologica e complottista cui la Rete dà un enorme spazio. Non a caso, praticamente dietro ogni mozione sulla giornata della memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia troviamo come promotore un esponente dei Cinquestelle, cioè della forza politica che ha fatto del complottismo e dell’accoglimento di tutte le cosiddette «verità alternative» — dalle scie chimiche degli aerei all’inesistenza dello sbarco sulla Luna — uno dei suoi cavalli di battaglia.
Il motivo principale è però un altro e ha a che fare con il vittimismo consolatorio implicito in una spiegazione che attribuisce l’origine dei mali del Sud alla prepotenza o allo sfruttamento del Nord. È un vittimismo che dura da quando è nato lo Stato italiano: già Gaetano Salvemini ricordava, oltre un secolo fa, come un elemento preponderante nella
Priorità Nonostante i tanti problemi irrisolti trovano ancora spazio queste posizioni
percezione che i meridionali avevano del Risorgimento fosse il «sordo rancore verso quelli del Nord, una coscienza indeterminata e profonda di esser vittime della loro rapacità e prepotenza». È sconcertante che una parte importante della società meridionale, di certo il suo ceto politico presente nei consigli regionali, di fronte ai tanti problemi irrisolti del Mezzogiorno sia ancora ferma a questa posizione vittimistica, ritenuta forse utile a giustificare la più antica delle (false) soluzioni: la richiesta allo Stato «conquistatore» di politiche risarcitorie basate sull’erogazione di denaro pubblico.