Così bello, così difficile: elegia per l’Iran
«L’odio nei riguardi dell’Iran, serpeggiante in alcuni circoli di potere statunitensi, rischia di portarci tutti sull’orlo del baratro. Quanto a me, posso solo continuare a diffondere la cultura di questo straordinario Paese, che amo come se fosse il mio», scrive Anna Vanzan, docente di Cultura araba all’Università Statale di Milano, nel suo Diario persiano. Viaggio sentimentale in Iran (il Mulino).
È una sorta di racconto di viaggio che, in gran parte, segue i percorsi dei turisti occidentali: atterriamo a Teheran, attraversiamo le città del deserto, Kashan con il giardino di Fin, Yazd con i miti zoroastriani, la cittadella di Bam che ha fatto da sfondo al film Il deserto dei tartari di Valerio Zurlini (1976), basato sul romanzo
di Dino Buzzati. E arriviamo a Shiraz, Persepoli e Pasargade, dove viene glorificato il passato pre-islamico dell’Iran.
Ma è soprattutto nella capitale, di cui Vanzan si professa «irrazionalmente innamorata» e che spesso viene trascurata dai tour organizzati, che la studiosa ci accompagna in realtà meno note: tra le donne
della fiorente industria del libro, che conta ben 250 case editrici e si è «femminilizzata» negli ultimi trent’anni; in metrò fino al cimitero Behesht-e Zahra (il Paradiso di Zahra), dove dalle fontane sgorga acqua rossa come il sangue versato dai martiri; ai piedi del Damavand, monte incappucciato di neve ma anche vulcano sputa-fuoco che ha alimentato le leggende raccontate da Ferdousi nello Shahnameh, il Libro dei Re.
Vanzan è critica dell’orientalismo di viaggiatori e viaggiatrici del passato, che accusa di aver diffuso miti negativi sia sulle donne che sui luoghi (come Vita Sackville-West, la nobildonna inglese che «pur trascorrendo solo pochi giorni in Iran» a inizio Novecento stilò «un memoriale nel quale vanta una grande conoscenza di usi e costumi locali»). La studiosa provoca le galleriste locali chiedendo se non vendano in Occidente soprattutto pezzi di chador art, cioè un’arte caratterizzata dal «continuo riferimento a donne velate, a elementi calligrafici spalmati su figure femminili». Il suo obiettivo è mostrare che il vero Iran va oltre gli stereotipi. Ma forse l’unico modo per capirlo è andarci di persona.