Corriere della Sera

Van Niekerk, un gioco da ragazzi Il virus di Makwala diventa un giallo

Il sudafrican­o domina i 400, il suo rivale escluso dalla gara minaccia di fare causa

- Gaia Piccardi

DAL NOSTRO INVIATO

LONDRA Non è il vero Wayde Van Niekerk, il fuoriclass­e in purezza di Rio, però basta per l’oro di una finale dei 400 avvelenata dal giallo dell’assenza in corsia di Isaac Makwala, 30 anni, dal Botswana con furore. Il favorito al podio è azzoppato dal virus gastrointe­stinale di massa che mette kappaò una trentina di atleti al Tower Hotel (Trost, Tamberi e Palmisano, speranze da medaglia, ricollocat­i altrove insieme agli altri azzurri in arrivo a Londra), costringen­do all’isolamento stanze e piani per evitare che si diffonda minando il Mondiale. Poiché ha violato la quarantena di 48 ore impostagli, la Iaaf ha ritenuto di vietare l’ingresso allo stadio a Makwala (brutta scena, neanche fosse appestato: c’era di certo un modo migliore di gestire la vicenda), che ieri sera voleva competere forte di un certificat­o del medico della squadra che lo dichiarava guarito. Un caso che avrà strascichi, anche legali. Ma un rivale in meno (insieme a Kirani James, oro a Daegu e Londra, infortunat­o) per l’irresistib­ile Wayde, così giovane (25 anni) e così vincente, padrone in 43’’98 davanti a Bahamas (Gardiner in 44’’41) e Qatar (Haroun in 44’’48).

Non è sprint puro, non è mezzofondo. Il giro di pista della morte è quella terra di mezzo che richiede doti da esplorator­e dell’ignoto quando l’acido lattico offusca la rotta. Un fenomeno come Bolt non l’ha mai voluto affrontare, nemmeno in allenament­o («Troppa fatica!») e non è un caso che il record dei 400 sia quello meno terremotat­o di tutta la geografia dell’atletica. Dal 1968 a oggi il primato dei 100 ha cambiato padrone 20 volte, quello dei 200 sei, quello dei 400 solo quattro. Tre totem (Lee Evans, Butch Reynolds, Michael Johnson) e un cucciolo di gazzella, Wayde, cui una nonna di 75 anni piantata con due cronometri al collo sul bordo della pista della University of Free State, Ans Botha, ha insegnato a essere ghepardo. Van Niekerk domina la specialità da due anni. Al Mondiale di Pechino 2015 (43’’48) è arrivato al traguardo con un blocco respirator­io che lo ha spedito dritto all’ospedale. Ai Giochi di Rio 2016 in 43’’03 ha disintegra­to il record di Johnson (43’’18), che si stagliava all’orizzonte da 17 anni. Quattro volte i 100 in 10’’75 oppure due volte i 200 in 21’’15, il muro dei 43’’ preso a martellate da un’impresa ai limiti della fisiologia umana: un giro di pista alla Talento La falcata del sudafrican­o Wayde Van Niekerk, 25 anni, oro nella finale dei 400 metri maschili (Reuters) media di 33,5 km all’ora.

Su una pista lenta (zero record fin qui), Van Niekerk passeggia. E poi non esagera con i festeggiam­enti. Ha lavorato sulla resistenza senza perdere velocità. Ha accorciato i tempi di recupero. A Bloemfonte­in, in Sud Africa, e a Gemona, in Friuli: «La mia seconda casa». Non esiste dolore più grande, per gambe e cervello, dell’apnea feroce degli ultimi secondi di questa galera a cielo aperto che Van Niekerk si è scelto come mestiere, piazzando sulle mappe la bandiera sudafrican­a slabbrata dalla follia di Pistorius, costringen­do gli sponsor a fare la coda per averlo (oggi vale 1,5 milioni di dollari a stagione) e i media a venderlo, suo

Oggi i 200 Oggi Wayde torna in pista nelle semifinali dei 200 dove Tortu tenterà l’impresa

malgrado, come il nuovo Bolt («Non sono io l’erede!») mentre il vecchio, che sabato si accomiata con la 4x100, ha sempre evitato di sfidarlo in pista.

La signora Botha, cui Wayde dà rispettosa­mente del lei, l’ha convinto a doppiare al Mondiale di Londra. Correre 400 e 200 (stasera la semifinale con Tortu) significa infliggers­i sei gare in sei giorni, il prezzo che ercolino dovrà pagare per eguagliare il grande Johnson, oro-bis a Goteborg ’95 e Atlanta ’96, quando non esisteva altro dio all’infuori di lui. Il primato è utopia proprio per questo: «Cercare la doppietta significa gestirsi, dosare lo sforzo, non strafare» sentenzia Johnson sotto il naso affilato con cui tagliava l’aria.

La prima missione è compiuta. L’Himalaya dei 43 secondi resiste. Wayde è in cordata solitaria permanente. Arrivare in vetta è solo questione di tempo.

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