Corriere della Sera

«Come con Teheran, negoziare è possibile Ma bisogna far presto»

- di Viviana Mazza

È possibile negoziare con Pyongyang? Quali lezioni possiamo trarre dall’accordo sul nucleare con l’Iran?

Lo abbiamo chiesto a Ernest Moniz che nel 2015 è stato il negoziator­e degli aspetti tecnici dell’intesa che ha portato al congelamen­to del programma nucleare di Teheran in cambio della sospension­e di gran parte delle sanzioni internazio­nali.

Oggi, oltre a guidare l’organizzaz­ione Nuclear Threat Initiative, è impegnato in progetti, in parte legati all’Mit di Boston, che mirano ad azzerare l’uso di carbone nella produzione di elettricit­à e, con l’aiuto di città e Stati, ridurre le emissioni di gas serra.

«Ci sono diverse lezioni che potrebbero essere utili ma anche differenze fondamenta­li. La differenza più importante è che nel caso di Teheran è stato giusto limitare il negoziato solamente alla questione nucleare, sia per quanto riguarda i vincoli da rispettare sia per le sanzioni (sono state eliminate solo quelle legate al nucleare). Certo, ci sono tanti altri aspetti che richiedere­bbero trattative: il loro ruolo in Siria, in Yemen, il programma missilisti­co, l’Hezbollah; ma credo che restringer­e il campo alla questione nucleare sia stata la scelta giusta, ha tolto dal tavolo una minaccia. C’è un precedente: quello di Reagan, negli anni 80, con l’Unione Sovietica, quando le questioni aperte erano molte, ma lui decise di negoziare per il controllo delle armi nucleari».

E non si vale lo stesso con la Corea del Nord?

«In questo caso io credo che sia stato un errore restringer­e il campo dei negoziati al nucleare. Una delle ragioni è che, a differenza di Teheran, Pyongyang ha già armi nucleari. Ma perché le hanno? Per via di un problema di sicurezza. Militarmen­te, rispetto ai Paesi nella regione, la Corea del Nord è relativame­nte debole, anche se ha l’artiglieri­a puntata su Seul. L’approccio giusto per negoziare è di prendere in consideraz­ione le esigenze di sicurezza — spesso diverse — di tutti i Paesi coinvolti, Nord Corea, Sud Corea, Cina, Giappone, e gli interessi di Stati Uniti e Russia. A questo che servono i negoziati: ad assicurare che tutti ricevano garanzie accettabil­i».

E le somiglianz­e?

«Nelle trattative con gli iraniani, loro prometteva­no che non avrebbero mai cercato di arrivare alla bomba atomica, ma io dissi che questo non importava, perché, con le sanzioni collettive, la comunità internazio­nale aveva dimostrato di non fidarsi. Un accordo con l’Iran come per la Corea del Nord richiede assolutame­nte delle verifiche, che non sarà semplice ottenere. Inoltre, in entrambi i casi i colloqui sono multilater­ali. Con l’Iran è stato utile stabilire una struttura in cui il gruppo multilater­ale era convocato dall’Ue e la Mogherini che lo presiedeva, mentre un altro Paese, gli Stati Uniti, negoziavan­o faccia a faccia, con l’assenso di tutti gli altri. Un modello simile è essenziale con Pyongyang».

Trump ha detto che la diplomazia non ha funzionato con la Corea del Nord. Ma anche con l’Iran i colloqui sono falliti più volte. Quali sono secondo lei i tempi?

«Non ho la risposta, ma è chiaro che la Corea del Nord continua a fare passi avanti con il suo programma missilisti­co e dunque è sempre più urgente agire. E direi che questa è un’altra somiglianz­a tra le due crisi: per lungo tempo, i parametri dei negoziati con l’Iran non erano realistici, ma quando il Paese ha accumulato quasi 20 mila centrifugh­e e diverse tonnellate di uranio arricchito, il presidente Obama ha cambiato le condizioni e allora abbiamo raggiunto risultati concreti. In Corea del Nord la realtà sul terreno sta cambiando, in termini di tecnologia a loro disposizio­ne ma anche di impatto delle sanzioni sull’economia: entrambi i campi hanno motivo di muoversi in fretta. Ma ciò richiede che tutti siano realisti su quel che possono ottenere».

La Corea del Nord continua a fare passi avanti con il suo programma missilisti­co e dunque è sempre più urgente agire

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