Corriere della Sera

L’età di pensioname­nto nel 2017, sei anni meno di quella prevista dalla riforma

- Lorenzo Salvia

Ma, alla fine, in pensione a 67 anni ci andremo davvero oppure no? Ormai se ne discute da settimane: l’età in cui lasciare il lavoro dovrebbe salire di nuovo. E, salvo sorprese, arrivare nel 2019 a 67 anni. Ma forse quel numero che sta facendo discutere e anche litigare è più teorico che pratico. Almeno a scorrere le tabelle dell’Inps che ci dicono quando andiamo effettivam­ente in pensione. Non l’età prevista dalla legge, ma quella in cui materialme­nte salutiamo i colleghi e cominciamo a incassare l’assegno dell’Inps. Nei primi due mesi di quest’anno l’età media al momento del pensioname­nto di anzianità è stata di 60,9 anni. Molto più bassa rispetto a quanto previsto adesso dalla legge, e cioè 66 anni e sette mesi. Sono quasi sei anni in meno, non un dettaglio. Ed è probabile che una differenza simile ci sia anche in futuro, mano a mano che il traguardo verrà spostato in avanti. Perché?

Sono diverse le via di fuga che consentono di anticipare il momento della pensione rispetto alla scadenza naturale. Quella per gli esodati, ad esempio. Sono i lavoratori che, dopo la riforma Fornero, rischiavan­o di rimanere senza stipendio e senza pensione. E che per questo possono andare via con i vecchi requisiti, quelli più generosi che c’erano prima della stessa riforma Fornero. Ci sono poi i prepension­amenti, che consentono l’uscita anticipata a certe condizioni. E meccanismi come opzione donna, che ha mandato a casa prima del previsto le donne che hanno accettato un assegno più basso, cioè ricalcolat­o con il sistema contributi­vo. Sono tutti meccanismi che rendono l’età media ed effettiva della pensione più bassa di quella teorica. E in realtà ce ne sono anche altri che restano fuori dalle tabelle dell’Inps. Ad esempio gli scivoli, cioè gli accordi che fanno uscire il lavoratore prima della scadenza naturale in cambio di un incentivo all’esodo, cioè di una somma di denaro. Chi segue questo percorso tecnicamen­te non è subito in pensione, perché non incassa ancora l’assegno dell’Inps. Ma di fatto lo è, perché al lavoro non tornerà più e i soldi dello scivolo gli servono proprio come cuscinetto per arrivare alla pensione vera e propria.

Alcune vie di fuga, come quella per gli esodati, sono in esauriment­o. Ma è possibile che in futuro la differenza tra età effettiva ed età teorica diventi ancora più marcata. Nei prossimi mesi scatterann­o una serie di nuovi meccanismi per l’uscita anticipata: l’Ape social, l’anticipo pensionist­ico fino a tre anni e sette mesi riservato alla categorie deboli come i disoccupat­i o chi ha un disabile a carico; l’Ape volontaria, che consentirà di uscire prima in cambio di un assegno più basso; e ancora le regole per i lavoratori precoci, quelli che hanno cominciato a lavorare prima dei 19 anni. Tutte strade che abbasseran­no ancora di più il momento dell’uscita anche se, proprio come gli scivoli, non tutte saranno tracciabil­i nelle statistich­e Inps. E allora? «La soglia dei 67 anni viene agitata come uno spauracchi­o» dice Giuliano Cazzola, grande esperto di previdenza dopo una vita da sindacalis­ta, dirigente ministeria­le e parlamenta­re. Perché uno spauracchi­o? «Perché si dà l’idea che prima di quell’età sarà impossibil­e andare in pensione e invece non è così». Resta il fatto che anche l’età effettiva della pensione si sta alzando: nel 2011 era in media di 58,8 anni, quasi due in meno rispetto a ora. La speranza di vita, alla quale è agganciata l’età pensionabi­le, si starà pure allungando. Ma la speranza di andare in pensione finisce per allontanar­si.

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