Stephen torna libero dopo 6 anni E la moglie non lo riconosce più
Il sudafricano rapito da Al Qaeda in Mali. Si è convertito all’Islam e parla arabo
«Ti sono cresciuti i capelli», «Beh, sono sicuramente più lunghi dei tuoi». Quando ieri Stephen McGown, il turista sudafricano-britannico rapito nel 2011 in Mali, si è presentato alla stampa dopo la sua liberazione, a colpire non era solo l'aspetto emaciato. Al suo fianco, sorridente ma ancora visibilmente scossa, la moglie Catherine, una donna che per sei anni non ha saputo se avrebbe mai rivisto il compagno. E che ora si ritrova di fronte un uomo completamente diverso, con la barba e i capelli rossicci ancora lunghi, nonostante siano passati più di dieci giorni dalla sua liberazione. «Soffre di forti mal di testa e si teme che possa avere la meningite», hanno decretato i medici che lo tengono sotto stretta osservazione dal giorno della liberazione avvenuta il 29 luglio.
Stephen McGown era stato rapito in un ristorante a Timbuctu, da Aqim, il ramo nordafricano di Al Qaeda, il 25 novembre 2011, mentre stava attraversando l’Africa in motocicletta. A cadere in trappola insieme a lui, altri turisti, lo svedese Johan Gustafsson, l’olandese Sjaak Rijke e un terzo viaggiatore, un tedesco ucciso durante la cattura.
«I tre di Timbuctu», così li aveva soprannominati la stampa. Per un po’ il loro caso aveva tenuto banco sui giornali di tutto il mondo. Ma dopo mesi e anni, i titoloni erano diventati trafiletti e tutti avevano smesso di parlare di quei viaggiatori inghiottiti da una delle organizzazioni jihadiste più attive sul fronte dei rapimenti. Stephen sembrava sparito dai radar.
A ridare speranza a Catherine, la liberazione nel 2015 dell’olandese Rijke da parte delle forze speciali francesi. Poi il giugno scorso il rilascio dello svedese Gustafsson ha riaperto un altro spiraglio nelle trattative che si erano arenate. Fino ai primi di luglio, quando un filmato pubblicato in rete poche ore prima dell’arrivo del presidente francese Emmanuel Macron in Mali ha mostrato McGown con altri ostaggi. «Io davvero non ci credevo più ma era la prova che stavamo aspettando da tempo: Stephen era vivo», ha spiegato Catherine tra le lacrime e gli abbracci.
Durante la prigionia nel Sahara, McGown è diventato un altro uomo. Si è convertito all’Islam («Dopo questa mia decisione hanno iniziato a darmi carne di gazzella»), ha imparato l’arabo («Almeno avevo qualcuno con cui parlare»), ha imparato a riconoscere le stagioni dal passaggio delle rondini («Mi sono sempre piaciuti gli uccelli»). E per sopravvivere si è abituato a quella nuova vita. «Ho fatto del mio meglio. Volevo tornare a casa da persona migliore di quella che ero e non come un incasinato», ha raccontato in conferenza stampa a Johannesburg con Catherine sempre al fianco che gli toccava il braccio quasi a essere sicura che quell'uomo fosse davvero suo marito.
Ma mentre lui lottava contro il freddo gelido delle notti nel deserto avvolto in una coperta fatta con corde e ramoscelli, a migliaia di chilometri di distanza, accadevano tante cose, compresa la morte della madre Beverly, scomparsa in maggio dopo una lunga malattia.
Secondo Rukmini Callimachi, reporter del New York Times specializzata in terrorismo, per la sua liberazione è stato pagato un riscatto di 3,5 milioni di euro, negoziato con i rapitori dai servizi francesi e sudafricani attraverso la Gift of the Givers Foundation. Per anni questa Ong sudafricana, che si era già adoperata per il rilascio di altri ostaggi e che ha fatto campagna per la liberazione di McGown, sarebbe riuscita a far scendere la richiesta dei rapitori di sette milioni. Soldi che si sono andati ad aggiungere, sempre secondo il New York Times, ai 5 milioni pagati ad Aqim per altri 32 ostaggi europei. Il governo sudafricano nega di aver mai pagato.
La trasformazione Durante la prigionia è molto cambiato: «Volevo tornare a casa da persona migliore»
@martaserafini