«Vivremo un milione di anni in più grazie al vaccino anti-morbillo»
I demografi della Bocconi: è il tempo guadagnato dall’intera popolazione italiana
Tre milioni di persone fra i 15 e i 40 anni, in Italia, non sono protette contro il morbillo e rischiano l’infezione: sono il 5% della popolazione. Non è poco. E aumenteranno negli anni a venire. La cronaca di questi ultimi tempi ci aveva già informato che il virus colpisce più spesso gli adulti (l’età media, fra i 4.087 casi segnalati dall’inizio dell’anno, è 27 anni): sono stati i più sfortunati. Ma quanti sono gli adulti potenzialmente a rischio di contrarre l’infezione perché non sono vaccinati o perché non hanno già contratto la malattia acquisendo un’immunità naturale? Un nuovo studio, appena pubblicato sulla rivista Lancet Infectious Diseases, li ha contati per la prima volta: sono appunto tre milioni circa.
L’indagine è stata condotta dall’Università Bocconi di Milano (in particolare dal Centro Dondena, per la ricerca sulle dinamiche sociali) in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler di Trento (un ente di ricerca pubblico che si occupa di discipline informatiche, storia e sociologia).
«L’obiettivo del nostro studio — commenta Stefano Merler, ricercatore della Fondazione Kessler — era quello di identificare come e quanto la popolazione adulta non solo italiana, ma di altri otto Paesi, compresi quelli in via di sviluppo, risulta protetta nei confronti del morbillo». Con un obiettivo finale: quello di fornire suggerimenti per orientare le politiche vaccinali nei vari Paesi.
Di solito queste valutazioni si fanno misurando la presenza di anticorpi anti-morbillo nel sangue (le cosiddette indagini sierologiche), ma sono molto costose e difficilmente applicabili. Ecco come invece la matematica può aiutare.
«Abbiamo “fotografato” quello che è successo negli ultimi 50 anni in nove Paesi, fra quelli sviluppati e quelli meno — aggiunge Merler — per quanto riguarda le dinamiche demografiche (da noi la popolazione invecchia, nei Paesi in via di sviluppo, invece, i giovani sono la maggioranza, ndr), i tassi di fertilità (in Africa fanno molti figli, da noi no, ndr)e i programmi di vaccinazione (il vaccino in Italia è disponibile dal 1983, ndr), tanto per citare alcuni parametri e abbiamo cercato di capire come si muove l’epidemia di morbillo. Molti di questi dati li abbiamo ottenuti dall’Organizzazione mondiale della sanità». I ricercatori li hanno «mescolati» e, grazie a modelli matematici, hanno raggiunto interessanti conclusioni.
Per l’Italia innanzitutto. Oltre ai famosi tre milioni a rischio di infezione, hanno trovato un altro dato interessante. Dice Alessia Melegaro, professore di Statistica e Demografia sociale dell’Università Bocconi, fra gli autori dello studio: «La vaccinazione antimorbillo ha permesso agli italiani, come popolazione in generale, di guadagnare un milione di anni di vita in più». Come? Grazie al fatto che, dopo la sua introduzione, non solo non si sono ammalati (e non sono morti), ma che non sono andati incontro alle complicanze della malattia.
Quali sono i suggerimenti pratici che derivano da questo studio? Al momento i ricercatori che hanno firmato la ricerca, non si sbilanciano. Ma un commento, pubblicato su Lancet a firma del ricercatore americano Kimberly Thompson dell’Università di Atlanta, si spinge a valutare quanto questa ricerca può suggerire in termini di scelte di sanità pubblica.
Per i Paesi industrializzati l’invito è a offrire la vaccinazione anche per gli adulti, perché lì si fanno pochi figli e, vaccinando i piccoli, non si assicura una «immunità di gregge» che impedisca la circolazione del virus e possa proteggere anche gli adulti. Nei Paesi in via di sviluppo, dove si fanno tanti figli, la vaccinazione dei piccoli può aiutare a limitare la diffusione del virus anche fra gli adulti. Sempre grazie all’immunità di gregge.
La ricerca L’ateneo e la fondazione Kessler di Trento hanno studiato i dati di nove Paesi