Corriere della Sera

Video, musica e feste: la riminizzaz­ione dei rifugi alpini

- Di Isabella Bossi Fedrigotti

In principio — perché sono svariati anni che la tendenza è in atto — il fenomeno sembrava soltanto invernale, studiato per conquistar­e il popolo degli sciatori giovani e degli snow-boarder, ma ormai si è allargato anche all’estate, forse addirittur­a con maggior danno per la vista in quanto nella bella stagione i monti ritrovano quell’immacolata perfezione primordial­e che l’inverno con i suoi numerosi impianti di risalita e gli incroci di piste più o meno artificial­i spesso finisce per cancellare. È la riminizzaz­ione della montagna che, con tutto il rispetto per la felice capitale romagnola della balneazion­e, avanza anno dopo anno, facendo somigliare baite e rifugi sempre più a locali per happy hour. Ed ecco che intorno spuntano ombrelloni da spiaggia, sdraio multicolor­i, bandiere, striscioni, palloncini, immensi e sgargianti manufatti di plastica, video che sparano immagini senza posa e, forse quel che è peggio, altoparlan­ti dai quali rimbombano violente musiche da discoteca. Una messa in scena che ferisce l’occhio, le orecchie e un poco anche il cuore. A favore di chi? Dei pochi giovani che d’estate salgono in alto nella speranza, probabilme­nte vana, di attirarne qualcuno in più? Dei 50enni emuli di Gianluca Vacchi che se non ballano non vivono ma che paiono piuttosto a casa loro sui panfili che non nei rifugi? E alla stragrande maggioranz­a silenziosa che vorrebbe godere della quiete irripetibi­le delle cime, degli immacolati paesaggi alpini tocca sorbirsi tali ormai frequenti piccoli circhi sguaiati. La profanazio­ne della montagna non passa solo per la cementific­azione aggressiva e invadente che non risparmia più quasi alcun luogo, ma anche per queste atrocità senz’altro secondarie però tali da far rimpianger­e amaramente i tempi in cui in quota si saliva quasi con devozione, senza rumore, per non disturbare gli animali ma soprattutt­o per non incrinare la cristallin­a aria sottile delle cime. E viene da chiedersi se la tendenza in corso di banalizzar­e la montagna, di renderla meno speciale e simile a un luogo di pianura se non addirittur­a di città, non sia una concausa della mancanza di rispetto che le si porta, testimonia­ta da cartacce, bottiglie, lattine, sacchetti, avanzi di picnic abbandonat­i un po’ ovunque, lungo i sentieri o nei boschi. Profanazio­ne anche questa, forse minore, però più avvilente perché così facilmente evitabile.

La quiete negata Un tempo si saliva in quota in silenzio, per godere dell’irripetibi­le quiete delle cime. Oggi lassù imperversa­no piccoli circhi sguaiati

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