Corriere della Sera

«Circondati dal mare e dal vento Ma qui ci sentiamo protetti»

Ciarmoli e Queda, coppia di architetti: ci siamo conquistat­i i locali venendo d’inverno

- Silvia Nani

«Ho trovato l’isola che fa per voi: c’è solo un albero». così Simone Ciarmoli e Miguel Queda, architetti e compagni nel lavoro e nella vita, ricordano ancora la frase dell’amica che li indusse quell’estate di quasi dieci anni fa a prendere l’aereo per atene e proseguire con tre ore di traghetto per raggiunger­e Folegandro­s, nelle Cicladi, a nord di Santorini. «Cercavamo un luogo dove trascorrer­e le vacanze. Ce ne siamo innamorati subito: il piccolo porto con 20 case in tutto, il paesaggio brullo color senape, l’antica “kora” fatta da tre piazzette in sequenza, le spiagge quasi inaccessib­ili. E quella luce che, quando il sole sta per sparire nel mare, illumina il fucsia delle bougainvil­le e il bianco delle case, diventando accecante». Prima di abbandonar­e l’idea della vacanza per pensare a un’abitazione tutta loro, ci fu il ritorno nell’isola a dicembre: «È stata la nostra conquista degli indigeni: nella loro riservatez­za primitiva, quando vedono lo sforzo – d’inverno da atene ci vogliono 13 ore contro le tre in estate - si aprono e diventano tuoi amici».

La ricerca, prima di un casa da inventare («Avremmo voluto una stalla, ma il piano regolatore non permetteva di renderla abitazione»), poi di un terreno dove costruirla, dopo un po’ ebbe successo. «Digradante verso il mare, aperto a 180 gradi sulle isole di Sifnos, Paros, Antiparos. Esposto a nord - quindi protetto - e ideale, per noi che siamo mattinieri, per vedere sorgere il sole», così lo descrivono. Isolato ma comodo («A pochi passi c’è l’unico negozio sempre aperto, dove si compra di tutto, dai detersivi ai generi alimentari, e si socializza grazie alla proprietar­ia che cucina»), con la vista migliore dell’isola, a detta degli stessi abitanti: «E del macellaio che ce lo vendette, che lo definì “il mio miglior filetto” », ricordano ancora divertiti.

La casa è affacciata su un pendio terrazzato, con gradini esterni che portano al tetto («Per tradizione si usava per essiccare i cibi»). Vegetazion­e scarna, ma progettata: «Agavi, rosmarino, lavanda. E un limone piantato in un pozzo interrato, per proteggerl­o dal vento che qui spira forte tutto l’anno». Già, il vento, «autore» assieme alla natura del disegno della casa: l’ingresso è un terrazzo chiuso come una corte («Riparato, lo usiamo anche d’inverno»), poi si entra nell’abitazione, affacciata su un altro terrazzo coperto da un pergolato in legno bianco, esposto verso il mare ma protetto. «Abbiamo puntato su finestre ampie a cannocchia­le: così il mare si vede “passante” da un lato all’altro della casa». Vista piena anche dal piccolo patio vetrato dipinto di azzurro che separa zona giorno e camere.

Gli oggetti locali, un bassorilie­vo con i pesci, il gioco di bianco-blu-legno degli arredi: tutto concorre a creare un legame con l’isola. Inclusa l’atmosfera: «Ci siamo ispirati alle case basse di Folegandro­s. Così, con il mare che affiora da tutti i lati, ci si sente quasi su una barca». Qualche pezzo di buon design, altri progettati da loro e fatti da artigiani locali (piatti inclusi), divani e letti con basi in muratura, sedie trovate in un mercatino di Atene, un lettino indiano, la pietra greca come pavimento: un insieme facile. «Nello stile delle nostre giornate, passate tra spiaggia la mattina presto quando non c’è nessuno, relax pomeridian­o (o lavoro in terrazza), poi ancora spiaggia, aperitivo e cena in una terrazza. Ospiti sì, ma anche decompress­ione da soli».

Gli indigeni, altro valore del luogo: «Di Katerina e Iannis, coppia tuttofare che gestisce il negozio, siamo diventati amici. Lei ci telefona quando siamo via per sentire come stiamo, e ha persino imparato un po’ di italiano segnandosi le parole su un libricino - raccontano -. Per noi ha inventato un gioco: quando ripartiamo si mette sulla punta di casa sua, che guarda il mare, tenendo in mano uno specchiett­o. Così vedendo dal traghetto quei bagliori, sappiamo che là c’è Katerina a salutarci». In attesa del ritorno.

Il macellaio che ci vendette il terreno ci disse: «Vi do il mio miglior filetto»

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Foto di Paolo Alberto Gatti e Simone Ciarmoli
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