Corriere della Sera

Molte navi ferme in porto Solo due davanti alla Libia «Finiremo per sparire»

NEL MEDITERRAN­EO LE SCELTE L’accusa: non c’è sicurezza, tanti dicono di essere la guardia costiera

- @martaseraf­ini Marta Serafini

Ealla fine a salvare migranti non rimase (quasi) più nessuno. Ieri sera, nella zona di fronte alle coste libiche dove in genere operano le navi delle ong, erano rimaste solo in due: l’Aquarius di Medici Senza Frontiere e di Sos Méditerran­ée, nella Sar Zone tra Tripoli e Khoms, e la Sea Eye dell’omonima ong tedesca, nelle acque internazio­nali tra la Libia e la Turchia.

Uno scenario completame­nte diverso da quello del mese scorso, quando le navi delle Ong facevano la spola senza sosta tra il Nord Africa e l’Italia, cariche di esseri umani. Poi, dopo il codice di comportame­nto e l’annuncio della missione italiana, la tensione è salita.

A tenere tutti all’ancora in queste ore però non sono solo le acque agitate del Mediterran­eo. «Se gli annunci di Tripoli sulla creazione di una Sar Zone sotto il controllo libico dovessero avere un seguito noi ci troveremmo a dover consegnare i migranti alla loro Guardia costiera perché li riporti a terra. Che, tradotto, significa rimandare questi esseri umani nelle mani di chi li ha torturati e violentati», spiega Michele Trainiti, capoproget­to delle operazioni di soccorso per Medici Senza Frontiere che ieri ha dovuto dare l’annuncio all’equipaggio della Vos Prudence dello stop alle missioni di salvataggi­o.

Nei giorni scorsi lo stesso Mrcc, il centro di coordiname­nto della Guardia costiera italiana, ha avvisato che la situazione potrebbe cambiare. «Ce ne siamo resi conto anche da soli. Sempre più spesso ci avvicinano imbarcazio­ni senza bandiera e non marchiate che sostengono di essere la Guardia costiera libica. Ma come facciamo noi a sapere di chi si tratta? Come facciamo a essere sicuri di non essere di fronte a trafficant­i? Continuare a stare in mare in queste condizioni significhe­rebbe mettere a rischio i nostri equipaggi oltre che i migranti», conclude Trainiti.

Il Mediterran­eo si agita sempre di più. Se poi a questo scenario si dovessero aggiungere anche le navi militari italiane, per le Ong diventereb­be davvero difficile operare, è il coro unanime che arriva da più parti. «Valuteremo il da farsi», ha fatto sapere ieri sera un portavoce di Save the Children, la cui nave, la Vos Hestia, è all’ancora fuori da Lampedusa, in attesa di istruzioni. E all’ancora a Malta, per il momento, rimane anche la maggior parte delle altre navi.

Con più tempo libero a disposizio­ne, tra equipaggi si discute e ci si scambia impression­i. Ad allertare tutti, la notizia di un’imbarcazio­ne, la Open Arms, colpita dagli spari della Guardia costiera libica. «Ci hanno intimato coi megafoni di allontanar­ci anche se eravamo in acque internazio­nali. Poi abbiamo sentito le pallottole fischiare sopra le nostre teste», ha raccontato chi era bordo. Oltre agli spari, spaventano anche le responsabi­lità morali. «Basta guardare negli occhi i migranti per capire che cosa sta succedendo a terra, come si può pensare di lavorare con chi è complice dei trafficant­i?» spiega chi fa parte dei team di ricerca e soccorso.

Ma c’è anche chi decide di rimanere in mare. «Per noi non è cambiato niente, siamo a Malta per il cambio di equipaggio», sostengono dal Moas. E c’è pure chi va avanti con l’amaro in bocca, dopo essere rimasto bloccato al largo di Pozzallo per oltre 72 ore dopo aver firmato il codice. «Ripartiamo domani con Golfo Azzurro ma è chiaro che l’Europa e l’Italia stanno facendo di tutto per far sparire le ong dalla zona», chiosa Riccardo Gatti di Proactiva Open Arms.

In campo Il Moas: per noi non è cambiato niente, ora siamo a Malta solo per cambiare equipaggio

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