Rivolta dopo il voto, decine di morti in Kenya
L’opposizione contesta la vittoria di Kenyatta, la polizia spara nelle baraccopoli: bambini tra le vittime
«Stavo guardando mia figlia mentre giocava con un’amica sul balcone di casa quando è improvvisamente caduta a terra» esanime, trafitta da un proiettile. Wycliff Mokaya vive in uno slum di Nairobi, è sconvolto, non si dà pace. La sua bambina, di soli 9 anni, è una sorta di «danno collaterale» delle rivolte che stanno scuotendo le roccaforti dell’opposizione dopo la riconferma di Uhuru Kenyatta a presidente del Kenya nel voto di martedì.
L’escalation dei disordini ieri, all’indomani della divulgazione dei risultati ufficiali — contestati dagli oppositori — che assegnano il 54,2% dei consensi al presidente uscente contro il 44,74% del 72enne Raila Odinga, l’eterno rivale che si giocava tutto in questa elezione, visto che non potrà più candidarsi alla prossima tornata per limiti di età.
Le forze dell’ordine — documenta un fotoreporter dell’Ap — hanno usato lacrimogeni e pallottole vere per reprimere le manifestazioni, concentrate in alcuni slum della capitale e nelle città dell’Est come Kisumo. Nella baraccopoli di Mathare, ai margini di Nairobi, la polizia ha aperto il fuoco per disperdere i manifestanti che bloccavano le strade anche con barricate infuocate. Gli agenti hanno caricato i dimostranti sparando e lanciando gas anche nello slum di Kibera.
Ancora incerto il numero delle vittime. All’obitorio di Nairobi sono arrivati 8 corpi soltanto da Mathare. La ong Kenya National Commission on Human Rights parla di 24 vittime, di cui 17 in alcune bidonville di Nairobi. Il governo ha definito «criminali» quanti stanno sfidando le forze dell’ordine,saccheggiando e dando fuoco a negozi e auto. Ma l’uso di lacrimogeni e pallottole da parte delle forze dell’ordine è stato bollato dalla stessa ong come «uso eccessivo della forza illegale e inaccettabile». La Croce Rossa locale ha riferito di 93 feriti soccorsi dopo l’annuncio dei risultati.
Decisamente più alto il bilancio annunciato ieri in conferenza stampa (senza prove) da un leader dell’opposizione: James Orengo ha stimato un centinaio di morti, tra cui anche bambini. I giornalisti sul campo però non hanno finora riscontrato per fortuna una carneficina di così ampia scala che farebbe ripiombare il Paese nell’incubo del 2007, quando 160 mila persone rimasero uccise negli scontri a sfondo etnico seguiti al contestato esito elettorale. Vero è che è stato vietato ai reporter di seguire le proteste e che la polizia ha assaltato almeno quattro giornalisti, sequestrando telecamere e macchine fotografiche.
Le rivolte, scoppiate all’indomani del voto quando Odinga ha parlato di brogli e «farsa», sono montate ulteriormente dopo il discorso da vincitore pronunciato venerdì da Kenyatta, figlio del primo leader dell’era post coloniale. Inascoltati i suoi appelli all’unità, in un Paese dove differenze tribali pesano ancora molto, con la tribù del presidente, i Kikuyu, accusata di trascurare i Luo di Odinga, che lamentano carenza di ospedali, scuole e strade nelle loro zone di influenza. «I cittadini hanno visto cos’è stata la violenza nel 2007, non credo che nessuno voglia replicare quella situazione», ha ammonito Kenyatta.
«Non ci lasceremo intimidire, non rinunceremo», ha reagito un leader dell’opposizione. Contestare i risultati in tribunale «non è un’opzione valida, non lo rifaremo», ha aggiunto, riferendosi alla sfida di 4 anni fa che si concluse con il ricorso (perso) di Odinga davanti alla Corte Suprema.