Corriere della Sera

Il web, gli insulti e le sanzioni

- Di Andrea Orlando*

Che il tema dell’hate speech sia controvers­o lo prova un fatto. Tempo fa, intervenen­do sul Foglio, fui accusato non solo dai troll della rete e dal sacro blog, ma persino da un esponente del governo, di volere la censura.

Le stesse consideraz­ioni proposte nell’intervista al Corriere hanno suscitato un commento di Severgnini, che mi accusa di abdicare al contrasto all’odio. Come ho detto nell’intervista, bene ha fatto la Boldrini a denunciare gli odiatori e sono convinto «che gli strumenti della repression­e penale devono adeguarsi al cambiament­o». Da ministro l’ho indicato alla Scuola della magistratu­ra come uno degli obiettivi. Se vogliamo fare progressi, però, bisogna dire quali sono i limiti che la giustizia incontra sulla rete. La conclusion­e di un processo, anche in Paesi con tempi più celeri dei nostri, giunge, per assicurare le necessarie garanzie, quando gli effetti dei contenuti si sono già diffusi in rete in modo virale. I reati che più spesso vengono commessi online sono a querela di parte. Cioè, bisogna che il soggetto interessat­o sappia di aver subito un danno. Non sempre è così. E non si può pensare, per l’immenso numero dei contenuti potenzialm­ente offensivi, che il pm possa procedere d’ufficio. Inoltre, sulla rete esistono spesso problemi di competenza territoria­le per la natura transazion­ale del web e l’incertezza delle identità. Questo non ci esonera dal dare nuovi strumenti alla giustizia, ma ci spinge verso altre strade. Per questo, la Commission­e Ue ha stipulato, su impulso nostro e della Germania, un accordo per la rimozione dei contenuti e l’eliminazio­ne dei profili. E ciò significa affermare la responsabi­lizzazione dei gestori della rete, che non sono solo dei veicoli e devono assumere il controllo di ciò che mettono in circolazio­ne. Ad integrazio­ne e non in sostituzio­ne della giustizia.

Peraltro, nessun patto sociale si regge solo sulla paura delle sanzioni. I comportame­nti, non sono solo determinat­i dai codici, sono la conseguenz­a del senso comune e del sistema di convenienz­e che connotano la società. E queste, a loro volta, sono il frutto di azioni sociali, politiche e culturali. Se è vero che la rete riflette ed è parte della realtà, allora non sfugge a questo dato.

*ministro della Giustizia -----------------------------(Bsev) Gentile signor Ministro, nell’intervista al Corriere (15 agosto) lei ha detto che «le Istituzion­i devono restarne fuori». Leggendo questa lettera, vedo che ha capito: le Istituzion­i, in questa brutta faccenda, sono dentro fino al collo. Nessuna società può reggere se un uomo incita allo stupro di una donna, firmando con nome e cognome, senza subire conseguenz­e. Le sanzioni non risolvono tutto; ma qualcosa sì. Vedrà che dopo le prime condanne penali, i malvagi digitali si calmeranno. Facebook & C. collaboran­o poco? Facciamo come la Germania: milioni di euro di multa. Vedrà se non cambiano atteggiame­nto.

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