Il web, gli insulti e le sanzioni
Che il tema dell’hate speech sia controverso lo prova un fatto. Tempo fa, intervenendo sul Foglio, fui accusato non solo dai troll della rete e dal sacro blog, ma persino da un esponente del governo, di volere la censura.
Le stesse considerazioni proposte nell’intervista al Corriere hanno suscitato un commento di Severgnini, che mi accusa di abdicare al contrasto all’odio. Come ho detto nell’intervista, bene ha fatto la Boldrini a denunciare gli odiatori e sono convinto «che gli strumenti della repressione penale devono adeguarsi al cambiamento». Da ministro l’ho indicato alla Scuola della magistratura come uno degli obiettivi. Se vogliamo fare progressi, però, bisogna dire quali sono i limiti che la giustizia incontra sulla rete. La conclusione di un processo, anche in Paesi con tempi più celeri dei nostri, giunge, per assicurare le necessarie garanzie, quando gli effetti dei contenuti si sono già diffusi in rete in modo virale. I reati che più spesso vengono commessi online sono a querela di parte. Cioè, bisogna che il soggetto interessato sappia di aver subito un danno. Non sempre è così. E non si può pensare, per l’immenso numero dei contenuti potenzialmente offensivi, che il pm possa procedere d’ufficio. Inoltre, sulla rete esistono spesso problemi di competenza territoriale per la natura transazionale del web e l’incertezza delle identità. Questo non ci esonera dal dare nuovi strumenti alla giustizia, ma ci spinge verso altre strade. Per questo, la Commissione Ue ha stipulato, su impulso nostro e della Germania, un accordo per la rimozione dei contenuti e l’eliminazione dei profili. E ciò significa affermare la responsabilizzazione dei gestori della rete, che non sono solo dei veicoli e devono assumere il controllo di ciò che mettono in circolazione. Ad integrazione e non in sostituzione della giustizia.
Peraltro, nessun patto sociale si regge solo sulla paura delle sanzioni. I comportamenti, non sono solo determinati dai codici, sono la conseguenza del senso comune e del sistema di convenienze che connotano la società. E queste, a loro volta, sono il frutto di azioni sociali, politiche e culturali. Se è vero che la rete riflette ed è parte della realtà, allora non sfugge a questo dato.
*ministro della Giustizia -----------------------------(Bsev) Gentile signor Ministro, nell’intervista al Corriere (15 agosto) lei ha detto che «le Istituzioni devono restarne fuori». Leggendo questa lettera, vedo che ha capito: le Istituzioni, in questa brutta faccenda, sono dentro fino al collo. Nessuna società può reggere se un uomo incita allo stupro di una donna, firmando con nome e cognome, senza subire conseguenze. Le sanzioni non risolvono tutto; ma qualcosa sì. Vedrà che dopo le prime condanne penali, i malvagi digitali si calmeranno. Facebook & C. collaborano poco? Facciamo come la Germania: milioni di euro di multa. Vedrà se non cambiano atteggiamento.