Corriere della Sera

L’imam doveva essere espulso I troppi errori dell’inchiesta (nati dagli egoismi della politica)

- DAL NOSTRO INVIATO

La sicurezza assoluta non esiste. Ma la storia dell’attacco sulle Ramblas forse può davvero insegnare qualcosa. Perché a parole siamo sempre tutti uniti. Nei fatti le linee di frattura della politica interna, le divisioni su temi in fondo relativi che tolgono forza a una necessità assoluta come la prevenzion­e del terrorismo jihadista, invece esistono.

La villetta di Alcanar dove i terroristi preparavan­o indisturba­ti ordigni micidiali per una o più stragi è già stata ribattezza­ta come la casa degli errori. Dopo l’esplosione che l’ha distrutta, non una qualunque, avendo scaraventa­to detriti fino a 2,3 chilometri di distanza, la polizia di prossimità, ovvero gli agenti locali e la polizia catalana, gli ormai famosi Mossos d’Esquadra, non avevano avvertito l’autorità centrale di quel che era avvenuto. E neppure avevano cominciato una indagine sulle cause di quel botto tremendo, relegandol­o alla solita fuga di gas. Mancavano 18 ore agli attacchi di Barcellona Prima cittadina Ada Colau, sindaca di Barcellona, dopo un incontro con le associazio­ni catalane legate al turismo (Foto Epa) e Cambrils. Eppure già di suo quella era una situazione di allerta terroristi­ca, ma il protocollo di sicurezza che scatta in casi come questo, pressoché uniforme in tutte le forze dell’ordine europee, non è stato affatto seguito. Alle doglianze andrebbe anche aggiunto l’ordine di espulsione mai eseguito dell’imam Abdelbaki Es Satty, la figura centrale della cospirazio­ne. Nell’aprile del 2014, dopo la sua condanna per traffico di droga, il decreto era stato promulgato. Ma era andato a sbattere sugli scogli del ricorso fatto dai difensori alla giustizia amministra­tiva, tutto il mondo è Paese, che aveva accolto l’invocazion­e dei diritti internazio­nali dell’imam, da tempo residente in Spagna in modo del tutto legale. Adesso che tutto è finito, almeno si spera, emerge con una certa virulenza il fatto che queste omissioni sono il riflesso della lotta politica che sta lacerando la Spagna. Autonomist­i contro fautori dell’unità nazionale, con toni sempre più accesi, in vista del referendum sull’indipenden­za della Catalogna, previsto per l’11 settembre. Il nervo è scoperto, lo dimostra anche la polemica sul conto di Younes Abouyaaqou­b, che secondo molte testimonia­nze si sentiva catalano ed era favorevole all’indipenden­za, ma non ha mai fatto parte di alcuna associazio­ne legata all’Assemblea nazionale catalana, promotrice della consultazi­one. C’è differenza.

«Ancora una volta, la debolezza delle istituzion­i e della politica ha fatto sì che l’esperienza e le strutture della Polizia Nazionale e della Guardia Civil nel campo dell’antiterror­ismo fossero emarginati ed esclusi in modo doloso dalle indagini con un solo obiettivo: trasmetter­e l’immagine di uno Stato catalano autosuffic­iente». A sostenere questa tesi non sono i giornalist­i e neppure l’evidenza dei fatti, ma i maggiori sindacati dei due più importanti organi di sicurezza spagnoli, che al pari di quelli italiani vantano una certa esperienza in materia, derivante dalla lotta contro l’Eta.

L’accusa è circostanz­iata, come l’elenco dei danni. I Mossos non hanno mai richiesto l’intervento degli artificier­i della Guardia Civil, che avrebbero potuto subito constatare come il crollo della villetta fosse conseguenz­a delle attività preparator­ie di un attentato. Inoltre, non comunicand­o con gli apparati centrali, non sapevano che l’imam Es Satty era stato discepolo prediletto di un terrorista legato alle stragi di Atocha e Nassiriya. Per loro era un predicator­e come un altro. Il sonno della disinteres­sata collaboraz­ione tra pezzi di Stato e pezzi di politica nel nome di un interesse superiore può generare morti. In Spagna, e altrove.

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