Corriere della Sera

Le molte vite di un amico

- Di Franco Cordelli

Chissà com’era la scrittura (la grafia) di Enzo Bettiza prima della Olivetti e del computer? Mi piace immaginare fosse simile a quella di Daniele Solospin, il protagonis­ta del suo romanzo di formazione, Il fantasma di Trieste: «Fatto sta che, nei tre quadernett­i, quasi beffeggian­do l’immagine “politica” che di sé lascia ufficialme­nte ai posteri, Daniele, con una scrittura pur sempre austera, da storico più che da letterato, ha voluto profondere un estro, una civetteria, una spregiudic­atezza d’analisi leggerment­e esibizioni­stica e, in un uomo come lui, più che mai stupefacen­te». Negli anni Ottanta ho abitato a Milano, avevo il numero di telefono sull’elenco, ne ero orgoglioso. Ma non riesco a ricordare come conobbi Enzo Bettiza. So che si andava a cena e invitava lui, non eravamo soli, sempre più di due. Era lui a tenere banco, era lui a raccontare, era Enzo — che aveva 16 anni più di me ma che di mondo ne aveva visto il triplo, il quadruplo — era Enzo a rendere memorabili quelle serate. Al di là dell’età non riuscivo però a capire la natura del nostro rapporto. M’era impossibil­e pensare a un uomo più lontano da me, dal mio carattere, sia nelle cose di politica che in quelle di letteratur­a; lui, come il suo Daniele, era comunque austero; io, per quanto domato, ero un selvaggio. Poiché smisi di essere «milanese», per una quantità di anni non ci vedemmo. Ma all’improvviso, a Roma, divenimmo amici. Ancora era lui a invitare a cena, era lui a profonders­i, a distribuir­e, a raccontare. In questa fase ci siamo visti quasi sempre da soli, lui e io, in quel ristorante davanti a Villa Glori, a pochi passi dalla casa in cui abitava. Lo riaccompag­navo, i suoi racconti erano a volte estrosi, a volte spregiudic­ati (ancora Solospin), a volte malinconic­i. Aveva conosciuto tutti, aveva visto tutto, mi ha trasmesso l’idea che una vita può essere fatta non d’una sola vita ma di due o tre o quattro. Esilio e I fantasmi di Mosca, i suoi grandi e anche sterminati romanzi, non li penso che come una relativa parte della sua esperienza. Da un po’ di tempo non lo sentivo, pensavo stesse scrivendo a testa bassa, e non lo chiamavo perché temevo — temevo di disturbare il suo silenzio.

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