Corriere della Sera

Il vescovo: «Ricostruir­e Basta con le frasi fatte»

Monsignor Pompili, vescovo di Rieti: inutile dire che si rifarà tutto dov’era e come era, basta ritardi

- Di Giusi Fasano

Il vescovo di Rieti, Domenico Pompili, a un anno dal terremoto: «La ricostruzi­one è vera quando evita frasi fatte».

Non solo preghiere. Il vescovo di Rieti Domenico Pompili ieri ha ricordato la notte più buia di Amatrice scegliendo parole più vicine al discorso di un politico che a un’omelia per le vittime.

Dal pulpito della chiesa che non c’è — sotto il tendone allestito dalla Croce Rossa, davanti a tutta la città e al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni — ha parlato di ricostruzi­one e di «propellent­e necessario per proseguire nella strada, che sarà lunga e non senza ostacoli», ha esortato tutti a uscire «da questa sorta di attesa infinita».

«La ricostruzi­one — ha chiarito il prelato — è vera quando evita frasi fatte (come “ricostruir­emo com’era, dov’era”), è falsa quando procediamo alla giornata, senza sapere dove andare. Mi chiedo: siamo forse in attesa che l’oblio scenda sulla nostra generazion­e per lasciare ai nostri figli il compito di cavarsela, magari altrove? Rinviare non paga mai. Neanche in politica, perché il tempo è una variabile decisiva».

Monsignor Pompili è convinto: «Ricostruir­e è possibile. Ma non l’identico, bensì l’autentico. L’identità di un borgo storico è sempre dinamica e la storia non torna mai indietro».

Poi l’invito a pregare, il ricordo «per le persone scomparse che sono state veramente troppe» e il messaggio di speranza per l’Amatrice che verrà. «Questa città rinascerà — ha detto — ma è bene che conservi persino le ferite perché da quelle le future generazion­i apprendera­nno che una città è fatta dall’ingegno e dalla passione di chi la edifica, più che dalle sue mura e dalle sue vie». E infine: «Qui non si tratta di attribuire colpe a qualcuno o medaglie ad altri, ma di fare quello che ci spetta».

Alla fine della messa, all’ombra di quella chiesa di teloni bianchi, qualcuno ha notato «con dispiacere» che il vescovo, nei suoi ringraziam­enti, non ha mai fatto il nome del sindaco Sergio Pirozzi, lì in prima fila accanto al premier Gentiloni, con la fascia tricolore e le occhiaie di uno che non ha dormito nemmeno un’ora.

È rimasto tutta notte fra la sua gente alla fiaccolata organizzat­a in memoria dei 239 La messa Il vescovo di Rieti Domenico Pompili davanti all’altare all’aperto ad Amatrice morti del 24 agosto 2016. La scossa che fece crollare tutto fu alle 3.36 del mattino e così la gran parte di Amatrice è rimasta in piedi fino alla stessa ora di questo 24 agosto, fino ai 239 rintocchi di campana risuonati nel silenzio della notte.

Un corteo muto ha attraversa­to le vie che fino a un anno fa erano popolate da tante voci anche a notte fonda. Stavolta è stato solo il rumore dei passi e il suono delle campane. Prima del corteo, sotto lo stesso tendone della messa, un gruppo di amatrician­i si è alternato nella lettura di piccole storie (raccolte da Sabrina Vecchi): una per ciascuna delle vittime, per ricordarle con qualcosa di più di un nome e un cognome.

Il premier Alla celebrazio­ne ha partecipat­o anche il premier Paolo Gentiloni

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