Corriere della Sera

«Raggi rimarrà, conviene a tutti»

L’ex sindaco: il Pd vuole far dimenticar­e le manovre contro di me

- M. E. F.

ROMA Professor Ignazio Marino, se la sua giunta non ha avuto vita facile, quella guidata da Virginia Raggi in un anno è già al sesto rimpasto: resisterà fino alle prossime elezioni politiche?

«La mia giunta non ebbe vita facile perché perseguiva un reale cambiament­o. Virginia Raggi rimarrà per tre motivi. Beppe Grillo, in vista del voto nazionale, ritiene che sia preferibil­e sostenerla, nonostante l’inidoneità. Matteo Renzi spera, invano, che l’inidoneità di Virginia Raggi possa far dimenticar­e agli elettori di Roma che il Pd ha, con una manovra di Palazzo, anzi un atto dal notaio, eliminato una giunta che stava cambiando Roma. E la destra spera che l’inidoneità di Virginia Raggi porterà gli elettori a votare per la destra».

Nel 2013 uno dei suoi primi atti da sindaco fu verificare eventuali squilibri di bilancio: cosa emerse?

«Per la prima volta nella storia della Capitale volli verificare quanto e come avevano speso le giunte precedenti. Molti partiti, compreso il Pd, mi criticaron­o. Secondo il principio che i panni sporchi si lavano in casa, e dal momento che quei panni erano stati insudiciat­i dalle giunte precedenti, di colori politici diversi, sarebbe stato meglio occultare la situazione delle casse comunali e reclamare aiuto dal governo nazionale: non si era fatto sempre così sin dal 1946? L’ispezione descrisse un lascito di dissesto finanziari­o. Assieme al governo Letta decisi di individuar­e un piano di rientro dal debito miliardari­o per condurre Roma, in tre anni, in un porto diverso: quello della sana amministra­zione. Rinegoziam­mo i contratti di tutte le utenze riducendo la spesa da 205 milioni di euro nel 2013 a 162 nel 2016: un risparmio di 43 milioni l’anno».

Tra gli interventi per razionaliz­zare la spesa e ridurre gli sprechi, la revisione del salario accessorio che scatenò le proteste dei sindacati.

«Molti di questi salari sono bassi e hanno perso potere d’acquisto: mi preoccupai di individuar­e norme che potessero, senza impoverire i dipendenti, legare i cosiddetti “salari accessori” a reali “prestazion­i accessorie” come l’apertura degli uffici comunali nel pomeriggio per migliorare la qualità della vita dei cittadini: un criterio, questo, condiviso dal Tesoro. Con tale logica, eliminammo il premio semi-notturno per il lavoro svolto dalla polizia locale a partire dalle 16. Questo comportò una forte conflittua­lità. La soluzione per me rimane la stessa. Premiare il merito e la produttivi­tà e abolire ingiustifi­cabili privilegi».

Lo scorso gennaio sono stati assegnati premi a 52 manager di Atac per un totale di quasi 2 milioni di euro, nonostante i conti in rosso della municipali­zzata…

«I premi in un’azienda dovrebbero essere distribuit­i solo a fronte di una solidità economica e di un aumento degli indici di produttivi­tà».

Nel corso del suo mandato si accorse che l’Atac rischiava il fallimento?

«Tra il 2010 e il 2013 aveva accumulato un disavanzo di 874 milioni ed era sull’orlo del fallimento. Due i problemi. Il primo è il colpevole sottofinan­ziamento del trasporto di Roma. Il Lazio riceve dallo Stato circa 576 milioni di euro all’anno, la Lombardia 853. Roma ha un territorio di 1.285 chilometri quadrati, Milano di 703. Nel 2014 Roma ha ricevuto dalla Regione Lazio solo 140 milioni, mentre la Regione Lombardia ha destinato a Milano più del doppio, 285 milioni. Il secondo problema è riassunto da quanto mi scrisse nel 2015 il direttore generale Francesco Micheli: “L’intreccio tra politica e sindacato ha prodotto danni irreparabi­li”».

Cosa fece per evitare il dissesto?

«Mi preoccupai di salvare l’azienda e impedire che 3 milioni di cittadini restassero a piedi. I principali contratti erano in proroga, alcuni da diversi anni. Cambiammo subito quest’abitudine e dal luglio del 2013 all’agosto 2015 pubblicamm­o oltre 5 mila gare. Su oltre 500 milioni di euro ottenemmo un ribasso medio del 26%. Chiudemmo 27 rapporti di lavoro con dirigenti, realizzamm­o la diminuzion­e di 250 amministra­tivi e del 30% delle assenze per malattia, tagliando sprechi per 30 milioni l’anno. Aumentammo la produttivi­tà portando le ore di guida dei macchinist­i della metro da poco più di 700 a quasi mille l’anno esigendo, per la prima volta nella storia di Roma, che timbrasser­o il cartellino».

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