Corriere della Sera

Il Brasile cancella la grande riserva Amazzonia aperta ai cercatori d’oro

Il polmone verde della Renca è ricco di minerali Gli ambientali­sti: peggior disastro in 50 anni

- Rocco Cotroneo

Ora tocca anche alle riserve ambientali dell’Amazzonia, cancellate con un colpo di penna. L’ultimo preoccupan­te segnale dal Brasile — dove due decenni di progressi si stanno disfacendo nel giro di pochi anni — arriva da un tavolo del governo di Michel Temer e porta a un angolo della foresta difficile da localizzar­e persino con le mappe interattiv­e dei nostri tempi. Quasi all’estremo nord del Paese, non lontano dalla foce del Rio delle Amazzoni, un’enorme area di 46.000 chilometri quadrati smette dopo oltre trent’anni di essere protetta e viene aperta allo sfruttamen­to minerario. La riserva è chiamata Renca ed è l’equivalent­e di Piemonte e Lombardia messi insieme (o un sesto dell’Italia) e come è noto da tempo è ricca di oro, ferro, nichel e altri minerali.

Nel 1984, l’allora regime militare al potere a Brasilia decise di preservarl­a, più per ragioni strategich­e che ambientali: voleva che restasse nell’orbita dello Stato. Da allora le pressioni delle società minerarie, da ogni parte del mondo, non sono mai venute meno. Potrebbe trattarsi, secondo gli esperti di settore, di una delle aree più ricche di minerali del continente ancora non esplorate, se non da sporadici avventurie­ri. Con il governo Temer, finalmente, il colpo è stato inflitto. D’altronde l’attuale presidente non è stato eletto da nessuno, né dovrà renderne conto nelle urne, e un certo Brasile che rappresent­a ne sta approfitta­ndo per prendersi tutte le rivincite in campo economico, sociale e ambientale.

La Renca, nel corso degli anni, è finita incastonat­a tra altri territori protetti: ci sono parchi nazionali, territori indigeni, riserve biologiche. Il governo assicura che tutto avverrà secondo il rispetto dell’ambiente e degli indios, i cui diritti non verranno toccati. Non c’è nemmeno bisogno di cambiare la legislazio­ne nella In pericolo Il 65 per cento della foresta amazzonica è in Brasile. Più di un quinto è già andato distrutto a causa della deforestaz­ione (Foto Reuters) regione, dicono. Ma come vanno queste cose in Amazzonia si sa: l’apertura di strade nella foresta, l’arrivo di manodopera e macchinari, i forti interessi economici hanno sempre come risultato un rapido degrado dell’esistente. «Questo decreto è il più forte attacco all’Amazzonia degli ultimi 50 anni — dice il senatore Randolfe Rodrigues, eletto nella regione —. Nemmeno la Transamazz­onica (strada costruita negli anni 70, ndr)è stata così offensiva, nessuno immaginava che il governo Temer potesse osare tanto». Rodrigues e altri gruppi ambientali­sti sono già sul piede di guerra, nella speranza che i Tribunali possano bloccare tutte le autorizzaz­ioni allo sfruttamen­to delle risorse che potrebbero arrivare. Il governo, tra l’altro, ha scelto l’arma del decreto proprio per evitare un disegno di legge che avrebbe

Ferro e nichel Le pressioni delle compagnie minerarie di tutto il mondo non sono mai venute meno

comportato un iter di discussion­i con la società, certamente non amichevole.

Da quando Michel Temer, al potere dopo l’impeachmen­t di Dilma Rousseff nell’agosto 2016 , ha superato l’ostacolo di un voto di autorizzaz­ione a procedere del Parlamento per accuse di corruzione, il governo ha premuto l’accelerato­re in una serie di misure sociali ed economiche. Quasi tutte gradite agli imprendito­ri e ai mercati finanziari, come le riforme del lavoro e della previdenza, e una nuova ondata di privatizza­zioni.

Insieme all’apertura della riserva amazzonica, Temer ha annunciato difatti la vendita di azioni della Eletrobras, l’Enel brasiliana, e la cessione ai privati di strade e aeroporti. Dal suo lato, il lento ma costante recupero dell’economia, che sta uscendo finalmente da tre anni di recessione.

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