«La mia mail ai genitori sugli organi del figlio»
Nanni Costa risponde alla lettera del padre di Nicholas Green: ho dato le informazioni che potevo ma garantire l’anonimato è giusto
L’articolo, firmato da Reginald Green, Alessandro Nanni Costa l’ha letto sul Corriere la mattina di mercoledì scorso. Reginald Green è il papà di Nicholas, il bambino americano ucciso, nel 1994, nel Sud Italia: la donazione dei suoi organi ha permesso a sette persone di sopravvivere. Nel suo intervento, sul nostro giornale, Reginald poneva una questione: è giusto che ai familiari dei donatori di organi sia impedito di conoscere chi li riceve? Loro ci sono riusciti, ma è un’eccezione. In Italia è proibito da una legge del 1999.
Così Alessandro Nanni Costa, la massima autorità italiana in questo ambito che «di mestiere», come dice lui, dirige il Centro Nazionale Trapianti, da 38 anni sul campo, si è messo al computer e ha scritto, doverosamente, ma anche mettendoci una buona dose di umanità, una lettera e una mail. La lettera è la risposta «tecnica» alle questioni sollevate da Reginald. La mail, invece, ha affrontato il lato «umano» della questione ed era per i Marteau, genitori inglesi che hanno donato gli organi del loro bambino, morto a Palermo nel 2009, ma che, a differenza dei Green, non hanno potuto conoscere chi li ha ricevuti. E ha voluto spiegare loro come sono andate le cose.
«La legge italiana garantisce l’anonimato sia per i donatori che per i riceventi — precisa Nanni Costa —. Il dono di un organo crea un legame inevitabile fra chi lo fa e chi lo riceve. E i più deboli vanno tutelati: di solito sono i riceventi che devono avere il diritto di rinascere a una nuova vita senza una dipendenza psicologica da chi gliela ha donata. Perché se uno mi regala un orologio gli sono grato, se mi regala un’auto gli sono ancora più grato, ma se mi regala la vita che cosa posso fare?».
E proprio sui sentimenti e sulle aspettative di chi riceve un organo è anche fiorita una letteratura: l’attrice francese Charlotte Valandrey, nel suo libro «Un cuore sconosciuto» racconta come, dopo un trapianto di cuore, scopre di andare pazza per i babà e la torta al limone, gusti che appartenevano alla donna che le ha donato l’organo, e si innamora pure di suo marito. La scienza nega queste correlazioni perché
I più deboli sono i riceventi che devono avere il diritto di rinascere a una nuova vita senza dipendenza psicologica da chi gliela ha donata: se uno mi regala un orologio gli sono grato, se mi regala un’auto ancora di più, ma se mi regala la vita che posso fare? Soltanto ieri in Italia abbiamo avuto otto donatori che hanno salvato molte vite umane
il cuore trapiantato è privo di nervi, ma la questione è di estrema delicatezza.
Poi ci sono i famigliari dei donatori. Possono avere contatti con i riceventi? Tempo fa fece il giro del mondo l’immagine di una donne che piange- va ascoltando battere il cuore di suo figlio morto nel petto della ragazzina che l’aveva ricevuto. «I famigliari devono elaborare un lutto e per questo noi offriamo un’assistenza psicologica — continua Nanni Costa —. Ma secondo la legge non sono previsti contatti». E anche secondo la psicologia il cercare di trovare il prolungamento della vita dei propri cari in un’altra persona non è l’ideale.
Quello che la legge italiana permette è la comunicazione ai parenti di dove sono andati a finire gli organi, qualora lo chiedano, senza nomi e cognomi.
Ecco quello che la mail di Costa ai Marteau precisa: «I reni e il fegato sono stati trapiantati in Sicilia, con successo. Il cuore a Roma, ma l’intervento, in un 60enne, non ha avuto buon fine». E la risposta dei Marteau: «Ci piaceva credere che il cuore del nostro bambino avesse salvato una persona giovane. Non è stato così, ci dispiace». A conferma che conoscere le conseguenze di quello che dovrebbe essere un «dono gratuito» può avere enormi conseguenze psicologiche.
Reginald Green ha il merito di tenere viva l’attenzione sui trapianti e, come lui sostiene, raccontare storie di donatori e riceventi può favorire le donazioni. Alessandro Nanni Costa, però, fa notare che dietro il successo dei trapianti in Italia c’è anche un’organizzazione che fa del nostro Paese un punto di riferimento in Europa. «Soltanto ieri — dice — abbiamo avuto otto donatori che hanno salvato molte vite umane».