LEADERSHIP, VILLE E JET IL RITORNO DEL LUPO
Jordan Belfort, il truffatore impersonato da Leo DiCaprio insegna tecniche di vendita e business a un pubblico in adorazione Gli indennizzi ai risparmiatori? Salderà il conto tra 1.600 anni
Il detective dell’Fbi Coleman, che l’ha incastrato: «Come manipolatore dei mercati si è dimostrato di un’abilità incredibile»
Grande truffatore ma anche grande affabulatore, un cantastorie di enorme talento. E poi la tendenza a concentrarsi in modo totale, compulsivo-ossessivo, sui suoi obiettivi: l’arricchimento, il sesso fatto di orge estenuanti, droga in quantità industriali. Le qualità che hanno fatto sprofondare Jordan Belfort, il Lupo di Wall Street, negli abissi del crimine finanziario e nell’isolamento — abbandonato anche dagli amici che prima ha indotto a delinquere e poi tradito denunciandoli all’Fbi per ottenere clemenza in tribunale — sono anche quelle che l’hanno fatto risorgere.
Una nuova vita grazie ai due libri che ha scritto, al film di Scorsese dedicato alle sue gesta e a una nuova carriera di conferenziere: il predatore, «the wolf», che insegna a folle adoranti i principi della leadership, le tecniche di marketing e di vendita, il modo di avere successo negli affari, e, perfino, come farcela nel rispetto dei principi etici. Accorrono a migliaia e pagano centinaia di dollari per ascoltarlo. Alla fine lui invita sempre tutti alla total immersion: devi programmare, indirizzare tutte le energie della tua mente sull’obiettivo. Se vuoi diventare ricco devi cancellare simpatia e comprensione per i poveri.
Belfort, il grande mascalzone della finanza portato sugli schermi da Leonardo DiCaprio. E anche il grande maiale che reclutava prostitute a dozzine per orge sfrenate negli uffici della sua società finanziaria, dietro lo schermo di un nome austero: Stratton Oakmont. Ma anche il grande pentito che, raccontando le sue malefatte, ha lavato le sue colpe. E che, pagato il debito (ridotto) con la Giustizia, ha imboccato una nuova carriera «virtuosa» ma sempre di successo: perché al febbrile e insonne Jordan il talento di certo non manca.
Le ultime immagini pubbliche lo ritraggono, l’estate scorsa, mentre con l’attuale fidanzata, Anne Koffe, si fa dei selfie a Roma, in piazza San Pietro, come un turista qualunque. Jordan il rinato ha anche evitato gli schizzi di un nuovo scandalo: quello del film che nel 2013 ha raccontato la sua vita scandalosa. DiCaprio è l’attore protagonista e anche un produttore di «The Wolf of Wall Street», ma i soldi vengono da investitori malesi della società Red Granite, guidata dal figlio del primo ministro del Paese asiatico. Quando, due anni dopo, si scopre che quei soldi erano stati sottratti in modo fraudolento al Fondo sovrano del governo della Malaysia, Belfort è il primo a chiamarsi fuori: «Mi ero accorto fin dall’inizio che si giocava con denaro rubato, dissipavano milioni in feste. DiCaprio è a posto, non c’entra, ma non aveva capito. È andato a tutte le loro feste, io no».
Un Jordan che accredita di sé un’immagine quasi monastica: sta espiando, versa la metà dei suoi guadagni ai clienti truffati, come da intese coi giudici. Ma i soldi dei libri e del film, quelli no: il Lupo dice di non volerli nemmeno toccare, andranno tutti alle vittime: «Direbbero che mi sono di nuovo arricchito sfruttando le mie malefatte». In realtà Belfort non si è mai impoverito. Continua a spostarsi in elicottero e jet privato, vive a Los Angeles in una villa con le finestre a picco sull’oceano e ne ha messa in vendita (a 16 milioni di dollari) un’altra in montagna.
A una delle sue conferenze, di recente a Londra, Lisa Guerrero, giornalista investigativa di Inside Edition, gli ha chiesto quando indennizzerà i 1.500 risparmiatori truffati, visto che aveva promesso di restituire loro 110 milioni di dollari entro un anno, massimo due. Mentre ora, a tre anni da quella promessa, non solo deve ancora più di 100 milioni, ma incassa i proventi di libri e film e ha smesso di destinare la metà dei guadagni agli indennizzi. Versa 5-6.000 dollari al mese: a questo ritmo salderà il conto fra 1.600 anni.
Grati al Lupo per la sua collaborazione, irretiti dalla sua abilità dialettica, Fbi e giudici hanno deciso di non chiedergli di più e di non confiscare i suoi beni. Greg Coleman, il detective dell’Fbi che ha studiato i suoi crimini per sei anni e alla fine lo ha incastrato, non nasconde il suo disappunto: Belfort poteva beccarsi fino a vent’anni, invece è rimasto in carcere appena 22 mesi (ed è lì che il compagno di cella, Tommy Chong, affascinato dai suoi racconti, l’ha convinto a scrivere la sua storia). Ma in fondo anche Coleman lo ammira («come manipolatore dei mercati si è dimostrato di un’abilità incredibile») e pure i magistrati che l’hanno condannato subiscono il suo fascino: ha tenuto conferenze motivazionali anche davanti ai pubblici ministeri della Corte distrettuale di Manhattan.