Corriere della Sera

Vittorio Emanuele re cacciatore a San Rossore

- Di Dino Messina

Erano lunghe le vacanze di Vittorio Emanuele III che da giugno a novembre spostava la residenza da Roma a San Rossore, nei pressi di Pisa. La tenuta di circa 5 mila ettari piaceva sia al re, appassiona­to cacciatore come il nonno Vittorio Emanuele II, che proprio a San Rossore aveva sposato la bella Rosina, sia alla regina Elena, che si divertiva a pescare.

La tenuta reale era ricchissim­a di selvaggina, daini, importati dai Medici dalla Sicilia e dalla Sardegna, caprioli e persino antilopi. Per non parlare di pernici e fagiani. Vittorio Emanuele III era talmente fanatico del tiro a volo che si vantava di abbattere sino a 350 capi al giorno. Nonostante queste stragi, gli animali erano così numerosi che attorno alla riserva fioriva una ricca comunità di bracconier­i, a stento contenuta dal Corpo reale delle guardie venatorie. San Rossore era luogo di svago per Vittorio Emanuele III, ma anche un rifugio quando il suo carattere opportunis­ta e tentennant­e lo portava a rimandare decisioni difficili. Il re era a San Rossore, di rientro da un breve viaggio in Belgio, quando Mussolini alla fine dell’ottobre 1922 minacciava Roma con le camicie nere. Vittorio Emanuele arrivò nella Capitale solo la sera del 27 e la mattina del 28 non ebbe il coraggio di firmare lo stato d’assedio già predispost­o dal generale Emanuele Pugliese per fermare i fascisti.

Dieci anni dopo, il 5 settembre 1938, il re era a San Rossore quando prese la decisione più vile, quella di firmare il decreto che introdusse in Italia le leggi razziali.

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Vittorio Emanuele III col fucile

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