Corriere della Sera

IL RUOLO DELLA PROCURA UE NELLA LOTTA AL TERRORISMO

Il ministro della Giustizia ha fatto bene a proporre che il nuovo Ufficio estenda le proprie competenze, sinora limitate alla difesa degli interessi finanziari dell’Unione

- Di Ricardo Franco Levi

T ra i tanti, tantissimi messaggi inviati al governo spagnolo dopo l’attentato di Barcellona, è passato quasi inosservat­o quello del ministro della Giustizia Andrea Orlando al suo omologo spagnolo Rafael Catalá.

Quel messaggio avrebbe, invece, meritato un’attenzione particolar­e. «Sono sempre più convinto — affermava il Guardasigi­lli — che la collaboraz­ione tra i sistemi di giustizia e law enforcemen­t dei vari Paesi sia la chiave per contrastar­e e sconfigger­e il terrorismo. È per questo, caro Rafael, che ritengo sia opportuno insistere su una proposta che da tempo l’Italia ha avanzato riguardo alla nascente Procura europea. I Trattati ci consentono di dare ad essa competenze anche nel contrasto al terrorismo».

Passate neppure cento ore, con una lettera alla commissari­a europea alla Giustizia e al ministro della Giustizia dell’Estonia, Paese che regge la presidenza di turno del Consiglio della Ue, Andrea Orlando ha confermato e sottoposto in forma ufficiale all’Unione Europea la proposta fatta al collega spagnolo.

L’Ufficio del pubblico ministero europeo (in inglese European public prosecutor’s office, da cui Eppo), era stato previsto sin dal 2007 con il Trattato di Lisbona al fine di contrastar­e le truffe al bilancio dell’Unione, tra cui particolar­mente rilevanti quelle transnazio­nali sull’Iva.

Nel corso di lunghi negoziati tesi a definire nei dettagli il campo di azione, gli obiettivi, l’organizzaz­ione della Procura europea, l’ambizione originale di farne un’istituzion­e autenticam­ente europea e sovranazio­nale si era scontrata con l’opposizion­e di molti Paesi

Comprensio­ne Soltanto stando dentro le istituzion­i comuni le si può spingere ad operare meglio

membri, gelosi della propria sovranità nazionale in campo giudiziari­o.

Non più, quindi, un Ufficio europeo capace di agire direttamen­te in tutto il territorio dell’Unione, ma un «collegio» di pubblici ministeri designati dai governi nazionali preposto al coordiname­nto delle attività di indagine e di accusa condotte nei e dai singoli Stati membri.

Il governo italiano si era opposto a questo oggettivo annacquame­nto del progetto originario. Tanto che, quando, in aprile, preso atto che mancavano le condizioni per un’approvazio­ne unanime da parte di tutti gli Stati membri dell’Unione Europa, sedici Paesi, determinat­i a procedere comunque verso una collaboraz­ione giudiziari­a più stretta, ancorché tuttora imperfetta, decisero di dare vita alla nuova Procura europea sfruttando il meccanismo delle cosiddette «cooperazio­ni rafforzate», l’Italia scelse di non partecipar­e. Sedici — tra i quali Germania, Francia, Spagna, Belgio — furono i Paesi che firmarono e fecero un passo avanti. L’Italia rifiutò la propria firma e rimase indietro.

Pur condividen­do le critiche

Attesa Una preparazio­ne di due o tre anni è un tempo inaccettab­ile: bisogna avanzare più in fretta

alla «debolezza» del nuovo istituto personalme­nte espresse dal ministro Orlando, avevamo giudicato sbagliata («Parte l’Ue a due velocità, ma noi restiamo indietro», Corriere della Sera del 27 aprile 2017 ) la strada imboccata dal governo italiano per far valere le proprie ragioni. Sbagliata, «perché pensare di essere più forti e di far meglio sentire la propria voce restando fermi sulla banchina mentre gli altri si allontanan­o sul treno che va è un’illusione».

Trascorse poche settimane, all’indomani di un incontro con Francia e Germania, il no italiano si è felicement­e trasformat­o in un sì. E ora sono arrivati a venti gli Stati che parteciper­anno alla costituzio­ne della Procura europea.

E ora, l’Italia rilancia, proponendo che il nuovo Ufficio estenda al terrorismo le proprie competenze sinora limitate alla sola difesa degli interessi finanziari dell’Unione Europea. Bene. Due volte bene.

Bene nel merito. Perché il terrorismo costituisc­e con tragica evidenza una sfida mortale che nessun Paese da solo può affrontare con efficacia e che richiede una risposta unitaria e coordinata, almeno su scala europea. E noi italiani in questo campo possiamo offrire una competenza dolorosame­nte conquistat­a e preziosa.

E bene nel metodo. Perché si è compreso e preso atto che solo stando dentro le istituzion­i comuni le si può condiziona­re e spingere ad operare meglio.

Un’ultima osservazio­ne. Dopo l’approvazio­ne del Consiglio europeo dello scorso 8 giugno, servirà il sì del Parlamento europeo. Dopo di che potrà partire una fase di preparazio­ne che si prevede possa durare da due o tre anni, così da consentire alla nuova Procura europea di essere operativa tra il 2020 e il 2021. Ma questi sono i tempi che, se già si potevano a stento giustifica­re se si trattava di difendere soltanto gli interessi finanziari dell’Unione Europea, sono del tutto inaccettab­ili ora che si parla di difenderci dal terrorismo. Avanti sì, ma in fretta.

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