Una catena di omissioni
Negli scontri di piazza Indipendenza perdono, perdiamo, tutti. Lo Stato, i rifugiati, noi. Se c’era bisogno di mostrare al mondo le falle del nostro sistema d’accoglienza, beh, ci siamo riusciti. Se serviva conferma alle difficoltà di Virginia Raggi (del tutto assente in questa vicenda) nel gestire la drammatica complessità di Roma, l’abbiamo avuta.
Ma fare dei poliziotti il capro espiatorio di tale disfatta aggiunge solo all’inadeguatezza della politica e delle istituzioni un carico di iniquità. Inutile nascondersi dietro un dito. L’immagine di donne inermi investite dagli idranti antisommossa lascia un’inquietudine difficile da placare. Sapere che alcune mamme, disperse coi loro bimbi dopo i tafferugli, dormono ora a terra, in qualche vicolo dietro le stazioni romane, è inaccettabile. E appare dunque mortificante il giubilo di certa destra sgangherata, sempre più dominata dalla xenofobia e dal culto del manganello. Tuttavia è ancora più fuorviante fingere, come abbiamo fatto troppo a lungo, che nelle piazze e nelle strade delle nostre città siano normali e tollerabili i bivacchi. O che siano da assumere come inevitabili occupazioni quali quella di via Curtatone (dove per ben quattro anni i migranti etiopi ed eritrei sono rimasti in attesa di sistemazione, prima d’essere sgomberati sabato scorso finendo per accamparsi in piazza Indipendenza) o come quella di piazza Santi Apostoli, prossimo probabile nodo di tensione e di scontro. Fa scandalo, sì, un funzionario che inciti a «spezzare le braccia» ai rifugiati in rivolta.
Dubbi Piazza Indipendenza è il punto di caduta, tragico, di una lunga catena di omissioni politiche
Ma parliamo di una frase estrapolata nella mischia della piazza e duramente condannata dal capo della Polizia, Franco Gabrielli, un servitore dello Stato davvero poco propenso a tollerare tra i suoi uomini derive «messicane». Piazza Indipendenza è il punto di ricaduta, tragico, di una lunga catena di omissioni politiche. Il palazzo di via Curtatone era diventato negli anni un hub dell’illegalità, con una minoranza di «regolari» che arrivava a affittare alloggi a chissà chi, chissà come. I rifugiati hanno rifiutato soluzioni alternative e il Comune non è mai riuscito a superare l’impasse. Di posti così a Roma ce ne sono decine, ma non è difficile capire come un luogo fuori controllo nel cuore della Capitale ponga, di questi tempi, anche questioni di sicurezza (alcuni eritrei venivano dal Belgio). Le responsabilità risalgono a ben prima della Raggi, tuttavia è lecito domandarsi dove fosse l’attuale sindaca in un pomeriggio drammatico come quello dell’altro ieri (a «occuparsi dei romani», ha detto, difendendola, Luigi Di Maio, come se piazza Indipendenza si trovasse invece su Marte). I migranti sono caduti in una trappola scavata da chi li usa e da chi li ignora fino al disastro; nell’illusione, alimentata da antagonisti e collettivi per la casa schierati accanto a loro, che l’assenza di regole potesse essere regola eterna essa stessa; nell’ignavia di chi, per anni, ha rimosso la questione. Mentre oggi i «collettivi» tornano in piazza, tutti i giochi politici sono aperti. La sinistra radicale si spinge a chiedere le dimissioni del ministro Minniti facendo da involontaria sponda alla destra salviniana. I Cinque Stelle si arroccano attorno alla sindaca. Di un piano per gestire e superare le occupazioni nessuno parla da un pezzo. Costa fatica e rende pochi voti.