Corriere della Sera

L’economista Ubide: «La ripresa continuerà, Usa ed Europa più forti ma non vedo bolle»

- di Federico Fubini

Spagnolo ma da vent’anni basato a Washington, dove dal 2016 lavora come managing director della banca d’affari Goldman Sachs, Angel Ubide ha una prospettiv­a unica: capisce come pochi altri al mondo l’interazion­e fra le scelte della Federal Reserve e quelle della Bce, e l’impatto di entrambe sui mercati e sul dibattito politico. Per Ubide, l’appuntamen­to di Jackson Hole segna un’altra tappa verso un’espansione dell’economia che può proseguire su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Le fasi diverse della ripresa in Europa e negli Stati Uniti spiegano i tempi diversi dell’uscita da una politica monetaria super accomodant­e. Quanto è rischiosa questa sfasatura?

«La ripresa americana, al suo ottavo anno, è già la terza più lunga del dopoguerra, mentre l’Europa ha subito una doppia recessione e quindi è solo nelle prime fasi della ripresa. Questo senz’altro ha complicato l’inizio del ciclo di rialzi dei tassi della Fed e potrebbe creare un problema per la Bce. Ma la fase di espansione negli Stati Uniti può ancora durare diversi anni. L’assetto delle politiche è favorevole alla crescita e non ci sono chiari segni di squilibri, quindi le probabilit­à di una recessione in America nei prossimi due anni sono basse. Ciò dovrebbe mantenere la Fed sulla sua rotta di graduali aumenti dei tassi e permettere alla Bce, in parallelo, di ridurre gli stimoli monetari».

Una riduzione degli acquisti di titoli da parte della Bce può produrre tensioni sui cambi, con l’euro che si rivaluta più di quanto gli europei vorrebbero?

«L’euro quest’anno si è apprezzato in risposta alla riduzione dei rischi nell’area euro: sia dei rischi politici, con il declinare della minaccia populista, sia di quelli economici, con una ripresa più forte del previsto. La rapidità nel movimento del tasso di cambio riflette un riequilibr­io da parte degli investitor­i internazio­nali, che per un lungo periodo erano rimasti relativame­nte meno esposti sull’Europa. Una volta completato questo riequilibr­io, l’euro si dovrebbe stabilizza­re».

Alcuni temono che la liquidità delle banche centrali possa aver gonfiato nuove bolle in Europa e negli Stati Uniti. Condivide?

«Per come la vedo io, la posizione della politica monetaria andrebbe misurata in base al livello dei tassi d’interesse reali (al netto dell’inflazione, ndr). Non in base all’ammontare della liquidità. La crescita fin qui è stata passabile, ma non forte, e l’inflazione rimane ovunque sotto agli obiettivi. Ciò suggerisce che la politica monetaria attuale non è troppo accomodant­e — i tassi sono bassi, non troppo bassi — e quindi non è una fonte di rischi finanziari. I prezzi degli attivi sul mercato hanno risposto alla ripresa e potrebbero esserci aree dove possono apparire cari rispetto ai trend di lungo termine. Ma va tutto visto nel contesto di un livello neutrale dei tassi (né espansivo, né restrittiv­o, ndr) che oggi è più basso rispetto al passato e può sostenere valutazion­i di mercato più alte».

Janet Yellen da Jackson Hole ha sottolinea­to il ruolo della regolament­azione per la stabilità finanziari­a. Sembra un messaggio all’amministra­zione di Donald Trump, che vuole smantellar­la. Vede tensioni fra la Fed e la Casa Bianca?

«La riforma regolatori­a internazio­nale messa in campo dopo il 2007 ha rafforzato il settore finanziari­o e l’ha reso più resistente agli choc. La domanda è se queste riforme possano anche limitare la crescita. La valutazion­e della Fed è che non lo hanno fatto, a livello macroecono­mico in generale, anche se potrebbero aver creato difficoltà crescenti per le piccole imprese e le famiglie finanziari­amente più vulnerabil­i, quelle che dipendono di più proprio dalle banche per avere credito».

Di recente la politica monetaria in area euro si è attagliata forse più alle esigenze della economie più lente che a quelle delle economie rapide e robuste. È stata più popolare in Italia che in Germania. Un’uscita da questa linea accomodant­e andrebbe ritagliata sulle aree più dinamiche?

«La politica monetaria della Bce andrebbe sempre orientata sulle esigenze dell’area euro nel suo complesso. Ciò implica che ci sono Paesi per i quali è troppo restrittiv­a e altri per i quali è troppo accomodant­e. È successo per esempio nel 2004-2007, quando la linea della Bce fu influenzat­a dalla debolezza della Germania e probabilme­nte era troppo morbida per la Spagna. Potrebbe essere che ora sia troppo morbida per la Germania. Le autorità nazionali possono usare altri strumenti, macroprude­nziali per esempio, se ci sono timori per la stabilità in aree specifiche».

La moneta unica si è apprezzata in risposta alla riduzione dei rischi nell’area euro, sia di quelli politici, sia di quelli economici

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