Corriere della Sera

Mistero russo: la morte del nono ambasciato­re

La lista si allunga. Un altro diplomatic­o di Putin trovato senza vita (in una piscina in Africa)

- Michele Farina

Uno è caduto dal tetto a New York nel giorno delle elezioni di Trump. Un altro è stato trovato morto nella sua casa in Kazakhstan. Un altro ancora è spirato all’ospedale di New Delhi «dopo breve malattia». Del più famoso, Vitaly Churkin, vecchia volpe con tana all’Onu, non è stato reso noto l’esito dell’autopsia. Dell’ultimo, scomparso il 23 agosto, si dice che abbia perso la vita in acqua: Mgayas Shirinsky, secondo la tv di Stato russa, «è deceduto mentre nuotava nella piscina della sua residenza a Khartoum», capitale del Sudan. Causa ufficiale di morte: «Attacco di cuore». E non ci sarebbe niente di strano: anche i diplomatic­i russi muoiono di infarto. Niente di strano, se non fosse che il baffuto sessantadu­enne Shirinsky è il quarto ambasciato­re dell’ex Urss a morire dall’inizio del 2017. Il nono alto funzionari­o agli ordini dello zar Putin (tutti uomini) a lasciarci le penne all’estero dal gennaio 2016.

Potrebbe essere la trama di un film di James Bond. Che comincia con il capo dell’intelligen­ce militare di Mosca, Igor Sergun, 58 anni, che all’inizio del 2016 muore in circostanz­e mai chiarite, forse in Libano, dopo un viaggio in Siria alla corte di Assad. È vero che i russi vivono in media quasi vent’anni meno degli italiani, che le aspettativ­e di vita intorno agli Urali si fermano a 65 anni. Un quarto degli uomini russi muore prima dei 55 anni. Spesso, appunto, per problemi alle coronarie. Eppure quella lista di nove diplomatic­i nove scomparsi in meno di due anni desta una certa impression­e. E fa nascere teorie cospirativ­e e sospetti anche tra gli esperti. Certo, «ci sono un sacco di bizzarre coincidenz­e a questo mondo – dice al Washington Post l’ex segugio della Cia Rolf Mowatt-Larssen, direttore dell’«Intelligen­ce and Defense Project» alla Harvard Kennedy School –. Però credo che il caso di questa moria di ambasciato­ri russi in giro per il mondo meriti un’indagine approfondi­ta. L’eliminazio­ne di un diplomatic­o è cosa rara, però Putin potrebbe trovare convenient­e fare paura ai propri emissari all’estero, tenerli sulla corda».

C’è chi fa notare, a proposito dell’ultimo lutto in Sudan, che il fatale tuffo della feluca russa è arrivato proprio poco prima della visita ufficiale a Mosca del presidente-ricercato Omar al Bashir, il leader sudanese su cui pende il più inutile e inefficace mandato di cattura mai emesso dalla Corte penale internazio­nale dell’Aia. Bashir gira tranquilla­mente tra l’Africa, il Medio Oriente e la Cina. L’invito di Putin rappresent­a l’ennesima sfida dello zar all’Occidente, una mano tesa a tutti quei Paesi africani che si oppongono alla giustizia internazio­nale bollandola come «neocolonia­le». Certo, è difficile immaginare quale mai potrebbe essere il canale che connette la piscina dell’ambasciata al viaggio moscovita di Bashir. D’altra parte, secondo i dati raccolti da Usa today, dal 2014 all’estate 2017 quaranta «russi eccellenti» sono morti ammazzati (o in circostanz­e giudicate sospette) nel mondo. Compreso Sergei Krivov, responsabi­le sicurezza del consolato a New York: mentre gli americani eleggevano Donald Trump con lo zampino (o il compiacime­nto) di Mosca, Krivov veniva trovato senza vita nella città di The Donald. Con i segni di un evidente trauma cranico. La prima versione della diplomazia («è caduto accidental­mente dal tetto») è stata poi cambiata in un più rassicuran­te (si fa per dire) «attacco cardiaco».

Da un tetto di New York a una piscina africana: il cuore cedevole dei diplomatic­i russi oltreconfi­ne. Poca attività fisica, cibo pesante, tanto stress. L’ex comandante dell’antiterror­ismo di Scotland Yard, Richard Walton, dice alla stampa Usa che i servizi russi sono abili «nel truccare gli omicidi». Ma gli sceneggiat­ori di un vecchio James Bond, per l’omicidio in piscina, più che al polonio radioattiv­o avrebbero pensato a un coccodrill­o del Nilo.

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