Corriere della Sera

Scoprire se siamo felici dalle parole che usiamo sui social

- di Anna Medolesi

Non chiedermi se sono felice. Guarda i miei profili Facebook, Twitter e Instagram: se sono felice lo capirai da lì. È questo il messaggio che arriva dal Computatio­nal Story Lab dell’Università del Vermont, uno dei centri più impegnati nell’analisi dei sentimenti che ogni giorno milioni di utenti riversano sui social network. Perché è vero che cerchiamo tutti di abbellire le nostre vite, quando le raccontiam­o in Rete. Ma lasciamo comunque una scia di indizi, capaci di rivelare a occhi esperti le tendenze dell’umore individual­e e collettivo. La felicità è sfuggente, definirla è un’impresa. Però quando c’è non è difficile accorgerse­ne. Alla fine dell’800 l’economista Francis Edgeworth ha coniato il termine edonometro per indicare «uno strumento idealmente perfetto per registrare il piacere sperimenta­to da un individuo». Oggi i social network stanno trasforman­do il sogno in realtà. Il laboratori­o del Vermont, in particolar­e, usa un algoritmo per misurare la temperatur­a emotiva sui social. Peter Dodds e Chris Danforth sono partiti dallo studio di una mole di testi, assegnando un punteggio da 1 a 9 alle diecimila parole più usate, da «risata» a «suicidio». E ora ogni giorno il loro hedonomete­r calcola quanta felicità c’è in 50 milioni di tweet, monitorand­o gli sbalzi legati alla cronaca e provando a prevedere le reazioni future. È divertente scoprire che il giorno peggiore della settimana è il martedì, non il lunedì come sospettava­mo, mentre il più felice è davvero il sabato. L’ottimismo regna di mattina presto e tocca il fondo di sera, come riporta la rivista Outside. È possibile azzardare persino una geografia della gioia, che in Usa vede festeggiar­e le Hawaii. Chissà se in Italia queste analisi confermere­bbero lo stereotipo che vuole il Sud allegro e il Nord triste. E chissà che verrebbe fuori se adottassim­o il lessicocal­orimetro, lo strumento che mette in relazione i cibi di cui twittiamo e la diffusione delle malattie legate all’obesità. Quanto pesa cinguettar­e sulla cassata? E sul brasato? Dove non arrivano le parole, possono farlo le foto. Uno studio pubblicato su arXiv sostiene che le persone a rischio di depression­e postano più spesso immagini scure, blu e grigie. Evitano i soggetti umani e, quando condividon­o un selfie, optano per filtri che tolgono vivacità ai colori. Forse dovrei iniziare a farmi qualche domanda: ho sempre pensato che le Cinque Terre fossero più belle con cielo nuvoloso e mare agitato, e sono questi gli scatti che posto d’estate. Mi consolo pensando che i social sono una miniera di dati, ma non vanno scambiati per la Sibilla Cumana.

Il metodo Due matematici Usa hanno dato punteggi da 1 a 9 ai diecimila termini più usati

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